Tony Damascelli, il giornale, 07 febbraio 2009, 7 febbraio 2009
IL LIBRO DI PUPPO SU EDOARDO AGNELLI
Sostiene Giuseppe Puppo che sulla morte di Edoardo Agnelli non è stata detta tutta la verità. Forse. Lo scrive in un libro, edito da KOINè, dal titolo «Ottanta metri di mistero, la tragica morte di Edoardo Agnelli». Centosettanta pagine di testimonianze raccolte dal giornalista scrittore leccese, Giuseppe Puppo: « Per sei mesi ho raccolto testimonianze di amici, parenti, altre figure per riscrivere i fatti di quel giorno, il quindici di novembre dell’anno duemila.[ …]
Marco Bava, analista finanziario, amico di Edoardo, convinto che il suicidio sia una copertura e l’omicidio la verità, Carlo Boscardini che si chiama con il titolo «Io non c’ero», scaricando ogni responsabilità del certificato di morte sul dottor Marco Ellena, suo superiore gerarchico.
[...]le tracce di terriccio tra le mani del giovane Agnelli.
Sceglie il silenzio il medico del 118, accorso per primo sul posto, non risponde alle domande di Puppo.
E ancora, la strana e ingiustificata assenza degli «angeli custodi» delle guardie del corpo di Edoardo Agnelli,
le due ore trascorse da quando uscì di casa alle 7 e un quarto per arrivare, dopo sessanta chilometri, sul viadotto di Fossano;
le telecamere a circuito chiuso, di casa Agnelli, le cui immagini non sono state mai riviste; il traffico telefonico sui due cellulari lasciati a bordo della Croma prima dell’epilogo, la totale assenza di testimoni alle 9 del mattino lungo
un tratto stradale che registra il passaggio, a quell’ora, di almeno otto vetture al minuto,
l’abbigliamento di Edoardo Agnelli, il pigiama sotto la camicia; l’assenza di impronte digitali sulle portiere e a bordo della Croma, la sepoltura affrettata, l’esame autoptico mancante;
e come una nuvola grigia, fastidiosa sopra questo scenario già angosciante, la tesi di un complotto sionista che troverebbe la giustificazione nell’adesione nel 1974 di Edoardo all’Islam e sulle conseguenze che questa sua scelta avrebbe avuto sul futuro dell’azienda e del patrimonio Fiat, di cui, lui, sarebbe stato erede.
Tesi lanciata in Iran subito dopo la morte di Edoardo (al quale nel novembre del duemila e cinque è stata intitolata una piazza di Khomein città natale dell’ayatollah e l’aula magna dell’università Al Zahra di Teheran), tesi costruita sul dissidio «religioso» e non soltanto con l’altro ramo di famiglia, gli Elkann legati al mondo ebraico, tesi smentita tuttavia dal profondo rapporto che legava Edoardo a Margherita, ribadito dalle lettere numerose, accorate nelle quali il fratello confessava il proprio disagio:
«...Margi sono felice ma un poco in tensione. Papà mi ha parlato di alcuni lavori e di certi progetti dei quali, lo confesso, nel particolare ho capito ben poco. Oppure ho capito troppo bene e ora ho paura di avere inteso una canzone stonata.
Lo sai bene che la mia mente vola alta sopra le megalopoli industriali e, osservando con attenzione sotto, vedo poco di buono e tantissimo da trasformare...
Vorrei che papà mi stesse vicino per accompagnarmi lungo i primi passi del percorso che, immagino, sarà lungo e assai impegnativo. Mi auguro proprio che questo accada, anche se pensandoci provo un disagio simile alla paura».
E in un altro scritto Edoardo parla del proprio impegno in Fiat, dell’idea di affidare le competenze a una persona, sembra Marco Bava appunto che ne curava il profilo economico:
«Se il potere della nostra famiglia cadesse nelle mani sbagliate sarebbe una cosa estremamente pericolosa per questa nazione... Mio padre si è comportato benissimo fino ad oggi. Ma se non imposta la propria successione in maniera corretta anche lui dovrà rispondere delle proprie azioni e dare le sue spiegazioni davanti a Dio.
Questo se lo deve mettere in testa».
E infine il rifiuto di firmare una sorta di rinuncia ai diritti di «Dicembre» la società finanziaria della famiglia (che controllava l’intero mondo Agnelli), in cambio di benefici economici.
Edoardo e le improbabili lettere scritte ai capi di Stato di ogni dove.
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