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 2010  luglio 26 Lunedì calendario

TRANSUMANZA A MONTECITORIO. SONO 121 I DEPUTATI CHE HANNO CAMBIATO PARTITO


«Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato». È l’articolo sessantasette della Costituzione della Repubblica, e la Costituzione è un faro che è bene non velare. Ma non c’è sempre luce in questo legittimo tormento della coscienza, l’unica alla quale deputati e senatori dovrebbero rispondere. Si cambia bandiera per interesse, per guadagnare visibilità, per accontentare lusinghe di chi ha potere da conservare ed elargire.
La pratica è antica come il Parlamento e ha origini più nobili dell’improprio significato odierno del termine “trasformismo”. La sinistra storica cercava buonanime a destra, per isolare gli estremisti, qui e là: «E se qualcheduno vuole trasformarsi e diventare progressista, come posso io respingerlo?», si domandava 130 anni fa Agostino Depretis, capo del governo.
Ai nostri giorni, tutto ha un altro sapore, l’odore di spezie di un suk, o l’aria pungente della muffa in una stanza chiusa. La Costituzione lascia una libertà pura al parlamentare ma l’abuso di questa possibilità ne ha logorato le intenzioni e da quando è in vigore l’ultima legge elettorale che il suo estensore (oggi ministro) definì «una porcata», cambiare partito è una pratica più opaca.
Chi viene eletto è in sostanza “nominato” da un partito, mentre con altre formule elettorali vi era un rapporto più diretto con il territorio di elezione, con i voti da conquistare per un’indipendenza da rivendicare con maggiori argomenti una volta ottenuto il seggio.
Due ricercatori (Marco Ottanelli e Gabriele Pazzaglia) nel sito democrazialegalita.it hanno inventariato la transumanza alla Camera, calcolo complicato dal fatto che alcuni al momento della proclamazione non si iscrivono al gruppo che li ha eletti, cercando di far numero autonomo o di creare le “componenti politiche” nel gruppo misto. Così risulta che dopo 30 mesi di legislatura «tutti i gruppi che si sono presentati nel 2008 hanno
subito “fughe”».
Complessivamente, sono stati 121 i deputati in transito. Questo eterno comportamento - si è detto, e con qualche ragione - s’è ingrossato dal 1994, quando furono abolite le preferenze: il maggioritario ha moltiplicato i salti della quaglia e la nascita di partitini parlamentari. Il ritorno alle liste bloccate ha ridato forza alle segreterie di partito, ma questo “controllo” si sfarina poi in aula.
La scissione dei finiani - che può cambiare lo scenario politico nazionale, se realizzata nel voto in aula - pesa per un quarto sul totale, ma basta per fare del Pdl il partito più colpito: ha
perso 41 eletti, convincendone appena 2 (Baccini e Scanderebech, dall’Udc): il gruppo dei berluscones si è quindi ridotto del 14%. Il PD ha assorbito lo strappo di Rutelli consumando solo il 5% della forza parlamentare («con una peculiare varietà di destinazione», scrivono i ricercatori). L’Udc
«perde sì alcuni esponenti di punta, ma pesca abbondantemente nel pelago di Montecitorio, e che si trova, unico tra tutti, in sovrabbondanza rispetto agli inizi». L’Idv dimostra una forte debolezza strutturale, diminuendo del 17%, disperdendo i suoi eletti in ogni direzione, «segno di una man-
canza di collante ideologico e di comunità di intenti nel vertice del partito, proprio nel momento in cui la sua base elettorale si sta allargando».