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 2010  agosto 05 Giovedì calendario

Furio Jesi, il mito dei miti DI ANDREA GALLI E ra la tarda primavera del 1979 e Furio Jesi, docente di letteratura tedesca all’università di Palermo, ter­minava un corso monografico su un tema a cui aveva dedica­to meditazioni e fantasie in­tensissime: il vampiro

Furio Jesi, il mito dei miti DI ANDREA GALLI E ra la tarda primavera del 1979 e Furio Jesi, docente di letteratura tedesca all’università di Palermo, ter­minava un corso monografico su un tema a cui aveva dedica­to meditazioni e fantasie in­tensissime: il vampiro. Jesi aveva 38 anni e non era un professore ’ordinario’: aveva vinto una cattedra universita­ria per esclusivo merito dei ti­toli pubblicati. Non solo non aveva una laurea, ma aveva la­sciato gli studi dopo il ginna­sio, quando si era reso conto che la scuola non aveva più nulla di significativo da inse­gnargli. Nato in una famiglia bene­stante dell’ebraismo ’laico’ torinese, orfano all’età di un anno del padre Bruno, ufficia­le del regio esercito, era stato i­niziato bambino ai misteri del mondo antico. Dal nonno Percy Chirone, massone, già direttore delle Scuole italiane al Cairo, e dalla madre aveva mutuato un interesse partico­lare per l’Egitto. A 15 anni ave­va pubblicato i primi scritti di egittologia sul Journal of Near Eastern Studies di Chicago e su Aegyptus, rivista dell’Univer­sità Cattolica di Milano. La­sciato il liceo, aveva preso a viaggiare: Bruxelles, Hilde­sheim, il monastero della Tra­sfigurazione in Tessaglia, l’Asia minore… stringendo contatti con studiosi di fama interna­zionale, come l’egittologo Pierre Gilbert o lo storico delle religioni Károly Kerényi – che Jesi considererà per tutta la vi­ta uno dei suoi maestri – rac­cogliendo documenti nelle bi­blioteche e cercando di acqui­sire sul campo un sapere diffi­cilmente inquadrabile negli schemi accademici. Uno sca­vo di impressionante preco­cità, come testimoniato anche da una preziosa raccolta di i­nediti e altro materiale di que­gli anni appena pubblicata da Aragno, a cura di Giulio Schia­voni, La ceramica egizia e altri scritti, che spazia dagli studi ’pionieristici’ sulla divinità e­giziana Bes, a quelli sulla Gre­cia pre-micenea e agli ele­menti africani delle civiltà di Nagada (pagine 632, euro 30). E una ricerca che ebbe da su­bito un filo conduttore preci­so: lo studio del mito, la com­prensione del suo ’funziona­mento’, della sua sopravvi­venza e delle sue rifrazioni nella cultura moderna. Jesi per le sue capacità e il suo eclettismo aveva quindi attra­versato il mondo della cultura italiana con la forza di una meteora. Nel solo 1972, all’età di 21 anni, aveva pubblicato per i tipi di Comunità un pic­colo capolavoro come Mitolo­gie intorno all’illuminismo, per la casa editrice Esperienze il saggio Kierkegaard, con al­cune tra le pagine più acute scritte in Italia sul filosofo da­nese, per Ubaldini Che cosa ha veramente detto Rousseau, per la Nuova Italia la monografia Thomas Mann , per Rizzoli la traduzione di Massa e potere di Elias Canetti… un ritmo di la­voro che non sarebbe dimi­nuito negli anni. Era stato una meteora anche nell’anomalia del percorso, che era rimasto a molti non facilmente decifrabile. Da una posizione di ’sinistra’, come quella che aveva assunto an­che politicamente con la mili­tanza nella Cgil, Jesi aveva promosso un avvicinamento ad autori giudicati ’reaziona­ri’ e ancora banditi dall’orto­dossia lukacsiana: Pound, E­liade, Dumézil, Castaneda ecc. Denunciando la strumentaliz­zazione o ’tecnicizzazione’ del mito, soprattutto a opera dei fascismi europei, si era gettato in un corpo a corpo con gli autori della ’Germania segreta’ e con il fiume carsico dell’esoterismo nord e mitte­leuropeo. Aveva poi dedicato un’attenzione tutta speciale al lato ctonio e infero delle reli­gioni antiche, dai sacrifici u­mani egizi, ai culti isiaci, al dionisismo mediterraneo, che strideva con il distacco e il pi­glio a tratti ’neo-illuminista’ del ricercatore. Proprio in quelle ultime lezio­ni all’università di Palermo sul vampiro – che era stato il sog­getto anche di un suo perso­nalissimo e a lungo elaborato racconto fantastico, L’Ultima Notte , pubblicato postumo – Jesi sembrò aprire un raro spi­raglio sul suo rapporto ’esi­stenziale’ col mito. Margherita Cottone, oggi docente univer­sitaria e nel ’79 fra gli studenti che assistevano alle lezioni di Jesi, così ricordava anni fa su «Cultura tedesca» la chiusura di quel corso: dopo aver legato l’origine delle leggende sui vampiri, sorte soprattutto in a­rea balcanica, alla presenza in quelle terre, nel medioevo, di gruppi gnostici come i pauli­ciani e i bogomili, «attraverso un linguaggio cifrato che men­tre nega afferma, Jesi lascia af­fiorare l’ambiguità della figura del vampiro che ha connotati negativi perché in quanto morto finge di essere vivo e ag­gredisce i viventi, ma che ha anche connotati positivi in quanto non mangiando non fa concessioni al dio del male», ossia il demiurgo degli gnosti­ci. «Se l’uomo vero è colui che partecipa alla circolazione lin­guistica universale apparte­nendo al tempo storico e al tempo della natura – conti­nuava Jesi secondo il resocon­to quasi stenografico che ne ha fatto Cottone – l’uomo vero allora non è altro che il vampi­ro, che, vissuto nel tempo sto­rico come uomo, è poi rientra­to nel tempo della natura come cadave­re, e nella sua condizione di vivo-morto vi­ve simulta­neamente nei due tempi… superando così la dialettica mortale-immortale il vampiro ha scelto l’eterno. Ammesso che lo stato umano sia lo stato della mortalità e quello della natura l’immortalità, l’eternità è infatti la possibilità di passa­re continuamente da uno stato all’altro senza precludersi mai la possibilità di tornare indie­tro. È la perfetta circolarità che coincide con la grazia». Così, se il vampiro rappresenta «l’in­terezza, la perfetta iniziazione, l’eterno», siamo noi «che sia­mo cascati al di qua dell’eter­no, che siamo fuori sia dal tempo storico che dal tempo del mito». Un commento semiserio di u­no studente, contenuto in una delle tesine che furono pre­sentate alla fine delle lezioni, fu: «Ma come fare per diventa­re vampiri, questo non ci viene detto». Un anno dopo, il 17 giugno 1980, Jesi moriva a Ge­nova, dove si era trasferito per motivi di insegnamento, a causa delle esalazioni di mo­nossido di carbonio di uno scaldabagno. Portando con sé questo e altri iniziatici segreti.