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 2010  luglio 31 Sabato calendario

L´EXPO MILANESE INNO ALL´AMBIGUITA´

L´Expo è relegato di solito nelle pagine della cronaca milanese. Ma è un caso esemplare di quella perversa commistione tra pubblico e privato che è all´origine delle tante difficoltà dell´Italia nel trasformarsi in un´efficiente economia di mercato. Oltre a essere argomento di interesse generale, poiché si parla di spesa pubblica in un Paese con il debito a quasi 120% del Pil.
L´Expo è figlia della rivoluzione industriale: nasce nel 1851 al Crystal Palace di Londra come "Grande Esposizione dei Prodotti delle Industrie delle Nazioni", per permettere ai vari Paesi di mostrare il proprio contributo al progresso tecnologico. Fino alla Seconda Guerra mondiale, l´Expo è stato un simbolo dell´industrializzazione che ha trasformato Europa e Stati Uniti. Alcune hanno lasciato segni indelebili, come la Torre Eiffel a Parigi (1889), o attratto folle oceaniche, come i 50 milioni di visitatori di Chicago (1933). Quelle di Milano (1906) e Torino (1911) hanno sancito l´ingresso dell´Italia nel mondo industrializzato.
Dopo la guerra l´Expo diventa uno strumento per segnalare l´ingresso di un Paese nel novero delle nazioni industrializzate (Canada 1967, Giappone 1970, Australia 1988, Corea 1993, Cina 2010) o compiutamente democratiche (Spagna 1992, Portogallo 1998); o promuovere lo sviluppo di una regione, offrendole infrastrutture e visibilità internazionale (sedi come Tsukuba, Daejon, Brisbane, Knoxville, Aichi, Spokane, Zaragoza).
Ma che cosa ha l´Italia da segnalare di tanto importante da giustificare la spesa? E Milano? Non credo serva a far conoscere che Pirelli e Brembo sono fornitrici della Formula Uno; o promuovere Armani e Prada nel mondo della moda. E il Salone del Mobile non fa già di Milano la capitale del design nel mondo? Se invece l´Expo doveva servire per sviluppare o riconvertire un territorio, forse era più logico puntare su città come Cagliari o Palermo; o magari, guardando avanti, Torino. Eppure, quando Milano ha strappato l´assegnazione dell´Expo a Smirne, è stata festeggiata come una vittoria per il Paese: Smirne, non Istanbul; che è in Turchia, non in Svezia.
La vera ragione per festeggiare è la valanga di soldi pubblici in arrivo da Roma: la solita storia del "grande evento" che diventa il machiavello per finanziare progetti pubblici e affari privati. Per completare la terza linea del Metro a Milano sono serviti i Mondiali di calcio del 2000; con l´Expo forse avremo la quarta. Come se le grandi opere pubbliche non fossero necessarie, a prescindere da un "evento"; o siano ormai possibili solo con questo lubrificante.
L´unica cosa degna di interesse sembra essere la spartizione della torta. Se il progetto Expo fosse interamente gestito da un ente pubblico, magari sarebbe inefficiente, ma almeno ci sarebbe una chiara responsabilità dell´utilizzo dei fondi di fronte all´opinione pubblica e agli organi di controllo. Se fosse interamente affidato ai privati, ci sarebbe la possibilità di adottare procedure concorrenziali per gare e appalti, e di imporre la trasparenza richiesta al mercato dei capitali. La scelta della gestione pubblico/privata, invece, così in voga oggi in Italia, abbatte i livelli di trasparenza, creando pericolose commistioni tra affari e politica che riducono l´efficienza e creano l´humus più fertile per le violazioni di legittimità. Lo scontro sull´acquisto dei terreni rispetto al comodato (con contropartite) è solo l´aperitivo. C´è poi la commistione di ruoli della Fiera: la Spa mista privato-pubblica (che dalla quotazione in Borsa ha perso quasi il 60% rispetto all´indice europeo), ma anche la Fondazione (di diritto privato, ma controllata dalla Regione), coinvolte nella gestione dell´evento e nella proprietà dei terreni. Poi verranno gli appalti, la riconversione e la commercializzazione degli immobili. Per la cronaca milanese, anni di lavoro assicurato. Promette veramente di essere una grande Esposizione Universale degli Affari e della Politica.