Tommaso Labate, Il Riformista 30/7/2010, 30 luglio 2010
FINI PREPARA IL PARTITO. IN AULA È A QUOTA 43
E pensare che il più titubante era proprio lui, «Gianfranco»: «Partire il gruppo autonomo è un’operazione rischiosa». Anche perché alcuni partecipanti al vertice di Palazzo Grazioli, tra cui Frattini, gli avevano tramandato l’immagine di un «Silvio» titubante, forse mal consigliato. «Vale la pena usare ora l’arma finale?», aveva chiesto il presidente della Camera ai suoi. Poi, quando la scalata di Bocchino&co. è partita, anche lui ha cambiato idea. Venti firme, venticinque, trentadue, infine trentatrè, solo a Montecitorio. Quindi il brindisi: «Se non si ferma in tempo, Silvio è destinato a fare la fine di Prodi».
Alle 8 di sera, quando Berlusconi dà inizio al summit di Palazzo Grazioli che emetterà la sentenza sul suo destino, il presidente della Camera ha tutte le armi in mano. Un’arma per ogni possibile «attacco» del Cavaliere. «Sospendono uno di noi? Bene, mi autosospendo anch’io», ha ripetuto per tutta la giornata ai parlamentari che ha contattato personalmente. Senza dimenticare che ci sono anche le carte bollate, «l’extrema ratio», come l’ha chiamata la seconda carica dello stato: trascinare i vertici del partito in tribunale sulla base dell’articolo 700 del codice di procedura civile e mettere di fatto il «caso Pdl», con annessi provvedimenti disciplinari, nella mani della magistratura.
Sono le prove tecniche di controffensiva che, però, quasi scompaiono rispetto alla possibilità di trovarsi, in meno di ventiquattr’ore, con la possibilità di creare gruppi parlamentari autonomi messa in cassaforte. L’anticamera di un partito vero e proprio. Che di fatto è già strutturato sul territorio, soprattutto se è vero quello che Italo Bocchino ha ripetuto ai colleghi per tutta la giornata di ieri: «A ottobre in giro per l’Italia ci saranno più circoli di Generazione Italia che cellule del Pdl».
La madre di tutte le battaglie finiane inizia a notte fonda. Fini, nonostante le cautele delle colombe che avevano partecipato al vertice di Palazzo Grazioli, è incredulo: «Ho offerto la mano a Silvio e lui ha ritirato la sua». A metà giornata, il presidente della Camera è attaccato al telefono per parlare con ciascuno dei suoi. È il lavoro complementare a quello di Bocchino, che nella sua stanza stende la bozza di richiesta del gruppo autonomo e fa apporre in calce le prime firme. Briguglio, Raisi, Barbareschi, Proietti, Divella, Buonfiglio, Perina e poi Della Vedova, Tremaglia, i moderati extra Generazione Italia, e quindi Paglia, Lamorte, Bongiorno. Firmano anche i membri dell’esecutivo, come Ronchi, Urso, Menia. Ma voi, chiarisce il presidente, «decidere pure in tranquillità se aderire o meno». Più complicata la partita al Senato. «Qui siamo in 14 ma non tutti», dice il prudente Augello, «lasciano il gruppo del Pdl». Il pallottoliere finale, al netto di indecisi e titubanti, recita 33 a Montecitorio (la trentaquattresima, Souad Sbai, non conferma) e 10 a Palazzo Madama. «La prova regina», esulta la deputata calabrese Angela Napoli, «che Fini non è solo e non è mai stato solo».
Sarà tattica, ovviamente. Ma nel pomeriggio, mentre in Transatlantico si assiste al via-vai frenetico dei peones berlusconiani, il “processato” Granata ostenta una tranquillità serafica seduto su una panchina del cortile. «La verità», dice raccogliendo l’assist di un collega, «è che non posso più bere un aperitivo in santa pace. Se vado in un bar c’è gente che mi ferma, che mi urla “resisti”, che mi dice “siamo con voi”. C’è pure qualcuno che mi saluta sorridendo col pugno chiuso...». Peccato per i processi in contumacia a Palazzo Grazioli. «Vede», risponde il deputato siciliano evocando (senza citarla) l’epoca delle D’Addario&co., «manco Palazzo Grazioli è più quello di una volta. Ora ci vanno Bondi e Cicchitto. Una volta era un posto “meglio frequentato”».
Il pallottoliere entra in azione in serata. «La maggioranza», è la considerazione che i fedelissimi condividono con Granfranco, «oggi è di 330 deputati. Se Silvio inizia la campagna aquisti, prendendosi i 6 di Noi sud, i 3 repubblicani, i 4 liberali e i 5 dell’Mpa arriva a 348. Se noi siamo 33, si arriva a 315». La metà esatta dell’emiciclo di Montecitorio. Certo, forse qualcuno si sfilerà dalle barricate finiane. Ma è altrettanto vero, riflette la fonte, «che noi abbiamo un accordo con Lombardo e che all’interno del Gruppo Misto c’è gente, come Paolo Guzzanti, che non tornerebbe mai tra le braccia di Berlusconi».
La via maestra del gruppo Fini, quella che può condurre alla creazione di un partito nuovo in tempi rapidissimi, potrebbe anche diventare l’appoggio esterno. Su una cosa il presidente della Camera è stato chiaro: «Noi dobbiamo rimanere fedeli alla maggioranza e rispettare il voto». Perché, è il sottotesto, da domani Berlusconi è nelle mani del Bossi che scrolla le spalle («A Silvio consiglierei di andare in ferie», ha detto ieri il Senatur) e del Tremonti che sarà sempre più sulla plancia di comando dell’esecutivo. Di quelli che potrebbero anche rovesciare il tavolo, meditare sui governi di transizione e cercare di portare a casa la legge elettorale tedesca che il Cavaliere vede come il peggiore degli incubi. Da qui, ribadita ai fedelissimi anche alle nove di sera, quando arriva la notizia del deferimento ai probiviri del tridente Bo.Gra.Bri (Bocchino, Granata, Briguglio), la considerazione finale: «Silvio farà la fine di Prodi».