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 2010  luglio 31 Sabato calendario

Valli, quando il teatro era fatto dai “Giovani” - Uno schianto nella notte spezzava, trent’anni fa a Roma, la vita di Romolo Valli

Valli, quando il teatro era fatto dai “Giovani” - Uno schianto nella notte spezzava, trent’anni fa a Roma, la vita di Romolo Valli. Come siano andate le cose, quel 1° febbraio 1980, non fu mai chiaro. L’attore, di notte, si dirigeva verso casa, sull’Appia antica. Un colpo di sonno, o forse un malore, o magari una distrazione lasciarono che l’auto volasse come un proiettile contro un muretto. Sull’asfalto non furono trovati segni di frenata, niente che consentisse un’ipotesi. Ancora sei giorni, e Valli avrebbe compiuto 55 anni. Quella notte non moriva soltanto un grande attore. Usciva di scena un protagonista autorevole della vita culturale italiana, un uomo dall’intelligenza acuta, un intellettuale morbido e sottile che, come un rabdomante, aveva sondato tutte le possibilità espressive del mestiere: il cinema (dove non fu mai protagonista), il doppiaggio, la radio, l’organizzazione culturale che lo vide per quattro anni alla direzione del Festival di Spoleto. Ma il capolavoro di Valli fu la creazione, nel ‘54, della Compagnia dei Giovani. L’impresa era di quelle che lasciano il segno. Grazie al lavoro ventennale dei «Giovani», il teatro non fu più quello di prima. Insieme a Giorgio De Lullo, la persona che gli era più cara, il compagno di una vita che era quasi diventato il suo alter ego, Valli inventò una formula, avviò una rivoluzione basata sul rigore delle scelte, sulla modernità e la leggerezza della recitazione, sul rovello psicologico. Resteranno esemplari le messe in scena del Giuoco delle parti, di Enrico IV, dei Sei personaggi in cerca d’autore, che rivelarono una lettura minuziosa, maniacale eppure godibilmente teatrale di Pirandello. Se vogliamo stare alle identità degli antichi ruoli di palcoscenico, Valli, con le sue interpretazioni, realizzava la simbiosi del Primo attore e del Caratterista. Più e al di sopra dell’interprete, riusciva un Personaggio che, con pochi essenziali ritocchi, si trasformava in una ipotesi dell’immaginazione. Nel ‘54, oltre a De Lullo c’era Rossella Falk, la pupa del gruppo, la spilungona che somigliava un poco alla Garbo e come la dea di Hollywood era complicata, misteriosa, forse snob ma, secondo Valli, «d’una sincerità quasi infantile». A loro si aggiunsero Tino Buazzelli, Annamaria Guarnieri, Elsa Albani e Ferruccio De Ceresa. Che gruppo! In vent’anni i «Giovani» fecero capire agli italiani che fare un teatro di qualità in una struttura privata non voleva dire trovarsi in contrapposizione ma in dialettica con l’iniziativa pubblica, con i grandi teatri stabili. Superate le difficoltà inziali, Valli e i suoi divennero il simbolo dell’intelligenza istrionica. De Lullo si rivelava un grande regista; gli attori si muovevano tra stimolo e tradizione. La Compagnia affrontava i classici, ma cercava anche il nuovo e a volte l’inedito. Prendevano vita La bugiarda di Fabbri, e poi Testori, Bourdet, Patroni Griffi. Vent’anni esatti durò l’avventura. Quando si esaurì la spinta propulsiva, i «Giovani» si sciolsero. Ciascuno prese una strada nuova. Valli, pur in altri contesti, non tradì mai la sua cultura né il culto della parola, che in teatro è la prima componente dell’azione scenica, lo strumento insostituibile della ragione e del sentimento. Lo fece fino alla terribile notte dell’80, che lasciò sgomenti De Lullo, gli ex compagni, il Paese intero. La commozione fu enorme. Reggio Emilia, la città natale di Valli, gli dedicò subito il teatro Municipale. E poi? E poi, passando gli anni, più niente. Anche questo trentennale cade in una indifferenza appena scalfita da qualche blanda polemica di provincia. In tanta distrazione, l’unico guizzo affettuosamente memorialistico proviene da un giovane attore invaghitosi di Valli, della Falk e del loro mondo che, a ripensarlo oggi, appare quasi fiabesco. Con scelta un poco temeraria, Fabio Poggiali ha fondato una ditta teatrale che ha chiamato Compagnia dei Giovani, ha pubblicato da Bulzoni il saggio Sulle orme della Compagnia dei Giovani e adesso, sullo stesso argomento, ha realizzato per Raisat un film documentario. Se è un’ossessione, non possiamo non considerarla benefica. Se si tratta di eroismo culturale e sentimentale, siamo costretti a dire con Brecht, con amarezza: beati i popoli che non hanno bisogno di eroi. Vuol dire che sono ricchi di tutto, anche di memoria.