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 2010  luglio 29 Giovedì calendario

CHI HA UCCISO IL BANDITO GIULIANO? L’ULTIMA BATTAGLIA DELLA PROCURA ANTI-CAV

«Di sicuro c’è solo che è morto: il mistero della morte di Salvatore Giuliano». Con questo titolo l’Europeo consegnava agli annali del buon giornalismo l’articolo di Tommaso Besozzi sulla morte del bandito che voleva guidare l’indipendenza della Sicilia. Era l’alba del 5 luglio 1950. Sessant’anni dopo la procura di Palermo ha deciso che quel mistero (il primo fra i tanti da quel giorno in avanti) va chiarito. Così ha aperto un fascicolo su un episodio che, ormai, è più d’interesse della storia che non della cronaca.
Per carità. Forse Salvatore Giuliano è stato il padre putativo di Totò Riina e l’ispiratore di Bernardo Provenzano. Magari Luciano Liggio, e Leoluca bagarella sono stati suoi lontani eredi. Ma non ci sono evidenze al riguardo. Si può escludere, invece, che il movente della sua lupara fosse Silvio Berlusconi. Allora aveva solo quattordici anni. Difficile pensare che pensasse già ad avere raporti con la mafia. E questo, forse, è l’aspetto che più dispiace al magistrato che conduce le indagini. Si tratta del Procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia che da tanti anni conduce la sua personale crociata contro il Cavaliere. La squadra di pm coodinata che coordina ha sentito lo storico Giuseppe Casarrubea, il ricercatore argentino Mario Josè Cereghino, il giornalista dell’Ansa Paolo Cucchiarelli e il dottor Alberto Bellocco, il medico-legale che ha comparato le foto del cadavere del bandito.
A che cosa servano esattamente queste indagini non è chiarissimo. Fra l’altro all’inizio del mese è morto l’ultimo testimone oculare di quella tragedia. Era l’avvocato Gregorio De Maria, proprietario della casa di Castelvetrano, paesone fra Palermo e Trapani, dove i carabinieri avevano fatto ritrovare il cadavere di Salvatore Giuliano. Un set molto improvvisato e allestito in tutta fretta. Tanto che attorno al corpo del bandito siciliano non era stata trovata nemmeno una goccia di sangue. Un’assenza sospetta visto il gran numero di proiettili che avevano abbattuto quello che si definiva il capo dell’Esercito per l’indipendenza della Sicilia) Il particolare che aveva suggerito a Besozzi l’ inizio del suo reportage: «Di sicuro solo che è morto».
Da quella afosa alba di luglio sono passati diversi decenni. Molti processi e anche qualche decesso sospetto come quello di Gaspare Pisciotta, luogotenente di Giuliano. Era morto in carcere aprendo, a sua volta, un filone horror destinato ad un certo successo. Era rimasto vittima di un caffè avvelenato bevuto in cella. Qualche anno più tardi il medesimo incidente sarebbe capitato ad un altro siciliano assai noto alle cronache giudiziarie come Michele Sindona.
Ma la squadra di pm guidata da Ingroia che cosa vuole dimostrare. Alla base dell’inchiesta c’è la denuncia di Giuseppe Casarrubea, storico, 56 anni che non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per i partiti del radicalismo di sinistra. Casarrubea vuole che la magistratura dia, finalmente, un nome ai mandanti della prima strage compiuta in Italia dopo la guerra. Anche in questo caso una prima assoluta. Si tratta dell’eccidio di Portella della Ginestra, una motagna alle spalle di Palermo. Il Primo maggio 1947 su quella spianata si erano dati appuntamenti alcune centinaia di contadini. All’ombra delle banidiere rosse chiedevano terra e libertà. Per tutta risposta ricevettero una cospicua sventagliata di mitragliatrice. A terra rimasero 11 persone. I feriti erano stati 57. Chi era stato a sparare? La ricostruzione più accreditata addossa tutte le responsabilità a Salvatore Giuliano e alla sua banda. A dare l’ordine la mafia e gli agrari locali spaventati dalle rivolte contadine. Secondo Casarrubea le cose non andarono così. Giuliano, pur essendo sul luogo del delitto, non sparò. Le armi stavano in mano ad un gruppo di agenti segreti americani. Forse volevano davvero che la Sicilia si staccasse dall’Italia e diventasse un’avamposto Usa nel cuore del Mediterraneo. Tesi non proprio nuovissima che, tuttavia non ha mai trovatoriscontri ufficiali. Solo una cosa è certa. Con gli 007 Usa il Cavaliere non c’entra. E questo a certi magistrati un po’ dispiace.