DOMENICO QUIRICO, La Stampa 28/7/2010, pagina 17, 28 luglio 2010
In Africa sboccia la primavera delle lotte sindacali - Appuntiamoci questo nome: Smain Koudria, sindacalista algerino
In Africa sboccia la primavera delle lotte sindacali - Appuntiamoci questo nome: Smain Koudria, sindacalista algerino. Questo tribuno di 52 anni, fisico tozzo, le mani stritolatrici da fabbro, fama di «duro», sarà il primo eroe di una nuova stirpe destinata a cambiare la faccia dell’Africa, a renderla migliore. Quando sentono il suo nome alla multinazionale siderurgica dei nababbi indiani Mittal maledicono il giorno in cui l’hanno assunto, come impiegato, ad Annaba, fonderia algerina del Gruppo. In un paese in cui protestare significa rischiare la pelle per mano delle infinite mafie, fondamentaliste e governative, Smain non guarda in faccia nessuno. Soprattutto i suoi padroni, i maraja dell’acciaio, costretti a volgere sguardi inquieti dal loro palazzo londoniano verso questa sperduta ma redditizia provincia africana. Quest’anno ha aizzato uno sciopero per ottenere l’aumento dei salari. Quelli di Mittal, secondo vecchi automatismi, hanno pensato bene di rivolgersi alla comprensiva Giustizia denunciandolo a metà luglio per «sciopero illegale». Una parte della «Unione generale dei lavoratori algerini», ex sindacato unico, vecchio arnese dell’epoca del corrottissimo socialismo all’algerina, lo ha sconfessato. Koudria si è dimesso. E la base si è schierata con lui. Una fiaba, isolata nell’Africa dove le multinazionali si affollano perché i lavoratori non contano niente, e regimi maneschi, abituati alle bustarelle, accudiscono un liberismo classico, ovvero salari da fame e niente diritti? Per nulla. Questo 2010 segna l’avvio di un fenomeno storico : lo sciopero diventa uno strumento di lotta, vittorioso, dall’Algeria al Sud Africa, elettrizza il continente, costringe le multinazionali più potenti del mondo, Shell Mittal Nestlé Total Bolloré, a cedere, sui salari e sui diritti. Finora ahimè esotica parola in Africa. Non solo: i sindacati si alleano, formano federazioni sovrannazionali, si collegano a quelli occidentali, confrontano le regole e chiedono che il continente si adegui. Ci sono venti milioni di sindacalizzati in Africa: il «Nigeria Labour congress» conta due milioni di affiliati, la «Cosatu» sudafricana 1 milione 800 mila, la UGTM marocchina 750 mila. Fino a ieri erano strangolati e zittiti dagli intrallazzi con il Potere, pura emanazione dei satrapi e dei loro partiti unici, cinghie di trasmissione rimaste come detrito dell’epoca del marxismo africano. Oggi i leader si svincolano, lottano denunciano esigono. Sono la classe politica nuova di un’Africa in via di formazione. Non a caso il terreno di lotta sono le multinazionali: i loro dipendenti in Africa sono la punta di lancia della classe operaia e impiegatizia, hanno uno status superiore a quello dei funzionari impaniati nella burocrazia parassitaria, confrontano i loro stipendi con quelli dei colleghi negli altri Paesi. La Shell ha fatto, suo malgrado, la prova della prima azione sindacale panafricana. Dalla Tunisia al Ghana i dipendenti delle stazioni di servizio del gruppo si sono uniti contro la decisione di liquidare tutta la rete che copre ventun stati, definita «non redditizia». Su Facebook sono passate le parole d’ordine, i sindacalisti si sono riuniti in teleconferenza: blocco davanti alle stazioni di servizio in Guinea, boicottaggio in Marocco, sciopero in Tunisia, in Senegal. Alla fine vittoria: in caso di vendita i lavoratori conserveranno tutti i vantaggi contrattuali e la rete non sarà divisa paese per paese. A Friah in Guinea sono stati i russi, azionisti di Rusal alluminio, a scoprire la novità: dirigenti sequestrati secondo lo stile in voga in Francia. In Gabon la sola minaccia di sciopero ha costretto il governo a negoziare l’aumento di assunzioni di gabonesi nel settore dell’estrazione petrolifera. In Tunisia la Nestlé voleva chiudere la sezione gelati: ha dovuto negoziare lo spostamento dei lavoratori in un altro settore e la riassunzione di un dipendente licenziato. In Sud Africa il sindacato, teoricamente onnipotente, stentava a divincolarsi dalla obbedienza alla Anc, il partito, unico e corrotto, di potere. Con una raffica di scioperi nei cantieri degli stadi per i mondiali la Cosatu ha strappato a un regime costretto a non perdere la faccia aumenti dei salari e migliori condizioni di lavoro. Molti gruppi che operano in Africa, soprattutto quelli europei, ormai preferiscono sottoscrivere con i sindacati convenzioni collettive. Per evitare guai, non certo per illuminismo padronale. La francese Orange si è spinta fino a creare un «Comitato mondiale del gruppo» con sette africani tra i 33 componenti. I gruppi americani oppongono maggiore resistenza. E poi c’è qualcuno che rifiuta semplicemente qualsiasi trattativa : i cinesi, i nuovi padroni dell’Africa.