Barbara Romano, Libero 21/7/2010, 21 luglio 2010
«ANCH’IO FIGLIO DEL BERLUSCONISMO L’ITALIA PRONTA A UN PREMIER GAY»
«Cominciamo dal Berlusca». un Nichi Vendola gasatissimo quello che apre la porta della sede romana della Regione Puglia. Contento come una Pasqua perché è riuscito a far ammettere per la prima volta al Cavaliere che ormai ha un’età. Il giorno prima il governatore, che ha bruciato tutti sul tempo nel centrosinistra candidandosi alle primarie del Pd per le prossime Politiche, aveva giurato: «Batterò Berlusconi perché è troppo vecchio». E ieri il premier gli ha dato ragione, aggiungendo però che il suo successore finora non è saltato fuori. «Carina questa», gli concede Vendola, che tiene a precisare: «La vecchiezza di Berlusconi non è legata ai suoi anni, ma alla sua cultura politica, al suo populismo, al suo machismo tipicamente italico perennemente in erezione. E come tutti i prodotti pubblicitari, anche lui si è usurato. Ma la persona Silvio Berlusconi e la sua età meritano rispetto e considerazione. il modello che è vecchio». Altro che vecchio. Lei ha detto: «Io rappresento un simbolo, una speranza, e questo è un valore aggiunto per la sinistra». Siamo al berlusconismo puro.
«Il carisma non l’ha inventato Berlusconi, che incarna un mix di liberismo e populismo». Perché lei invece...
«Io mi rivolgo al popolo in chiave antipopulista. Non parlo alla pancia o al basso ventre, ma parlo di raccolta differenziata, di ciclo delle energie rinnovabili, di rete idrica... Mentre il popolusta dice al popolo ”il tuo nemico è il nero”, io dico ”il lavoro dello straniero consente all’Italia di pagare le pensioni”». Ma incarnando l’uomo simbolo che il premier ha sdoganato, lei non è figlio del berlusconismo? «In parte sì. Ma io sono anche figlio delle prime crepe del berlusconismo, che non è stato creato dalle tribune politiche ma dalle fiction e dai reality. Berlusconi è la proiezione sulla scena pubblica dell’Italia del Grande Fratello. Ma questo film è giunto ai titoli di coda». Sarà, ma è durato quasi vent’anni. «Perché lui si è presentato come l’uomo in grado di vendere sogni e ridare speranza. Mentre il centrosinsta, come un’alleanza di amministratori di condominio, che tante volte non erano eccellenti. Ma ciò che più spiega la durata di Berlusconi è la sensazione che lui dà di parlare a ciascun individuo». Metodo che lei sembra apprezzare. Tant’è che l’ha mutuato.
«Io non vendo illusioni».
Ma non può negare ci curare l’estetica come il Cav.
«Io non curo quasi niente di me, non sono un personaggio costruito, anche perché non ho il tempo». Lei scolpisce il sopracciglio, come il premier coltiva il capello.
«La mia estetica è sempre stata il négligé. Non ho mai usato un pettine in tutta la mia vita». E con cosa si pettina la mattina?
«I miei capelli sono anarchici come chi li porta. Io concepisco la politica come danza della vita. Mentre spesso è danza della morte, perché ha semplicemente un codice di potere. Questo è più normale a destra. Mentre per la sinistra è un suicidio. Oggi destra e sinistra appaiono come due copioni shakespeariani quasi identici». Qual è stato l’errore della sinistra? «Non aver inteso la trasformazione del paesaggio sociale italiano e non aver saputo offrire un altro racconto, contrapposto a quello berlusconiano. La sinistra deve curarsi, ha una grave malattia». Da cosa è affetta?
«Da sindrome di Zelig. Per paura di perdere contro PdL e Lega si traveste da destra. Per paura di perdere il consenso del mondo cattolico si traveste da cardinale. Per paura di perdere i voti degli imprenditori si traveste da Confindustria».
Ma lei chi sta sfidando, Berlusconi o Bersani? «Con la mia discesa in campo sto cercando di portare un po’ di vita nel centrosinistra, che ripropone lo stesso copione trito e ritrito. Perché in piena crisi del berlusconismo il Pd cala nei sondaggi?». Perché? «Perché non c’è un’idea, ma tante piccole nomenclature, ognuna intenta a coltivare il suo orticello. A volte la coazione a perdere è una polizza sulla vita. La sinistra, per paura di perdere, si è persa».
Lei non ha detto che si candida per sconfiggereilPdLmapersparigliare nel centrosinistra. «Perché, per sconfiggere il centrodestra, bisogna avere un fuoco, un cantiere di alternativa, un contratto con gli italiani».
Vede che lei ce l’ha nel sangue il berlusconismo? «Ma nooo. Lo dico paraculando Berlusconi. Io sogno un patto tra un’idea di politica e le giovani generazioni, un pezzo di popolo».
Il Cav non potrebbe dirlo meglio. Bersani, invece, non avrà preso benissimo la sua discesa in campo... «Io non ho posto un problema sulle persone, ma sulla politica». Bersani non ha speso una parola sulla sua candidatura. Gli rode? «No, il suo è un silenzio di riflessione. Bersani è una persona di grande serietà e moralità. E credo che il Pd non possa non considerare il tema che io pongo: una rifondazione del centrosinistra e le primarie come metodo indispensabile». Ma Bersani o D’Alema l’hanno chiamata?
«Mi hanno chiamato molti dirigenti del Pd per esprimermi il loro
sostegno. Io sono fiducioso che il Pd non mi percepisca come una minaccia». Antonio Di Pietro, invece, ha sparato su di lei a palle incatenate. «Non replicherò mai alle intemperanze e agli smarrimenti psicologici di Di Pietro».
«Vendola non usi il suo mandato come trampolino di lancio personale». «Di Pietro ulula alla luna contro il ritorno alla notte del regime senza vedere lo smarrimento in cui versa l’opposizione».
Ma perché Tonino ce l’ha tanto con lei? «Teme che io possa riportare nell’alveo del Pd tutti i voti che lui ha drenato al centrosinistra cannibalizzando la sinistra radicale. Ma io non sono sceso in campo per togliere spazio vitale a Di Pietro». Riportando a casa quei voti lei però farebbe il gioco di quel Pd che sta sfidando.
«Il mio interesse preminente sono i volti, che il centrosinistra ha smarrito. Poi vengono i voti. Quando Tremonti e Sacconi spingono sulla strada del ricatto Marchionne che si traveste da Valletta a Pomigliano, il Pd gira la testa dall’altra parte».
La offende di più il silenzio di Bersani o le sparate a zero di Di Pietro? «Né l’uno ne l’altro. Sono cresciuto nella politica e so che non è fatta di carezzine».
Quindi manterebbe l’alleanza con Di Pietro?
«Sì, perché l’Idv è un partito che rappresenta una fetta significativa dell’opinione pubblica democratica. Di Pietro è un interlocutore importante».
E Casini, che ha sempre posto il veto su di lei, lo vorrebbe alleato? «Ma io non considero i politici i miei primi partner».
E con chi pensa di coalizzarsi?
«Con i precari, la giovane classe operaia, il popolo delle partite Iva, il sistema d’impresa, il mondo dei ricercatori».
Ecumenico. Lei è sceso in campo, nonostante Bersani si fosse già prenotato per Palazzo Chigi, perché lo considera troppo scarso per sconfiggere il Cav fare il premier? «Ho molta stima per la persona». E per il politico?
«La stima per la persona non muta di un millimetro il mio giudizio sul centrosinistra, che considero perdente su tutta la linea».
Anche fossero Veltroni o D’Alema a guidarlo? «Non è un problema delle persone, ma della lunga subalternità culturale che regna a sinistra, la quale va emendata da tutti i suoi peccati di liberismo».
Lei ha preferito paragonare le sue Fabbriche al Meeting di Cl che ai think-tank del Pd. Un po’ singolare per un comunista...
«L’ho fatto perché il Meeting è decisivo per la semina che porta alla vittoria culturale della destra». In comune con i ciellini lei ha la fede. Farà una novena o si raccomanderà a qualche santo per la corsa a Palazzo Chigi?
«La fede mi sta aiutando molto a vincere la paura e a non farmi fuggire dinanzi ai miei doveri. Perche ogni volta che mi trovo di fronte a una sfida impossibile, la tentazione è quella di andarmene. Ma ho la sensazione di trovarmi in una situazione che non ho scelto io, ma di essere stato scelto».
Vendola, l’unto del Signore.
«Non penso mica di essere stato scelto da Dio, ma dalla fatalità dei processi politici e sociali. Io sapevo, nella Puglia del 2005, di essere la differenza che poteva far vincere la sinistra, perché sentivo più di altri cosa ribolliva nelle viscere della società pugliese».
Si considera il futuro leader del centrosinistra? «Sì, perché sono un anti-leader. La gente mi vuole bene per le caratteristiche che mi differenziano dalle ordinarie leadership, perché mi sente, c’è un empatia, una relazione epidermica, emotiva forte. Mi sento leader di una transizione. Il mio compito è quello di agevolare un cambio generazionale e del linguaggio. Quando avrò vinto la mia partita me ne tornerò a casa».
Lei è sempre riuscito a candidarsi non grazie ma nonostante l’apparato. Non le secca ogni volta dover combattere prima col centrosinistra che col centrodestra?
«No, perché questa condizione è la ragione del mio successo. Non mi sono vergognato di essere considerato figlio di un dio minore e ho portato a spasso le mie diversità senza mai nasconderle».
Secondo lei, è una pregiudiziale omofoba che ha sempre spinto D’Alema & co a farle la fronda? «Vi era una preoccupazione comprensibile da parte di chi puntava a catalizzare i consensi del mondo moderato. Temevano che le diverse caratteristiche della mia personalità potessero essere respingenti per l’elettorato moderato. Secondo me, è un pregiudizio sbagliato, perché la società politica è molto più bigotta di quella reale».
Lei crede davvero che l’Italia sia pronta per un premier dichiaratamente omosessuale? «La Puglia, che era stata rappresentata come un luogo antropologicamente di destra, ha smentito le equazioni che circolano nell’algebra del Palazzo. Nel Paese c’è una domanda di libertà molto larga e il fatto di essere gay non fa la differenza quando non c’è ipocrisia. Io non ho mai mentito sulla mia vita privata a differenza di tanti altri e ho sempre avuto una condotta abbastanza morigerata. Sono una persona di una sobrietà totale».
Se conquista anche Palazzo Chigi D’Alema stavolta si spara. «Non credo. D’Alema è una persona generosissima. Anche quando mi è venuto addosso in modo aspro il suo è stato un atto di generosità, perché sapeva di avere alte probabilità di perdere la partita». C’è qualcuno del centrodestra che vorrebbe nella sua squadra di governo se diventasse premier?
«Ho grande stima di Fabio Granata, soprattutto per la sua lotta alla mafia. Ma non potrei arruolarlo, perché verrebbe additato come la prova postuma che tra i finiani c’è un’intelligenza col nemico».