Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 18/7/2010, pagina 84, 18 luglio 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
24 luglio 1908
L’uomo che perse la vittoria
De Coubertin avrebbe voluto le Olimpiadi a Roma, ma Giolitti non se l’è sentita di spendere e allora eccoci in Inghilterra, di fronte al castello di Windsor, per la partenza della maratona. Fra atleti monumentali che parlano lingue a lui sconosciute, si aggira un esile garzone di pasticceria con i pantaloncini scarlatti e la maglia bianca numero 19. Dorando Pietri da Carpi. Quattro anni prima ha visto passare un tizio davanti alla sua bottega e gli è corso dietro come se obbedisse a un richiamo, restandogli incollato per chilometri. Quel tizio era il campione italiano di maratona: il destino di Dorando è segnato.
Londra olimpica è fasciata dall’afa e i due inglesi che partono come saette si sgonfiano a metà percorso. In fuga è rimasto Hefferson, ma va troppo forte, non può durare. Dorando procede col suo passo, raccattando i rivali ai bordi della strada. A tre chilometri dal traguardo raggiunge Hefferson, appoggiato a un muro, le mani strette sul cuore. Pietri lo sorpassa di volata, ma paga lo sforzo. Lo stadio è vicino, si sente la folla urlare. E se davanti ce ne fosse ancora uno? Preso dall’ansia, l’italiano accelera e brucia le ultime energie. Sbaglia strada, torna indietro. Lo stadio, finalmente! La polvere della pista gli aggredisce la gola. Procede a ziz zag come un ubriaco a cui non manchi il vino, ma l’acqua: è pallido, disidratato, cade quattro volte e quattro volte si rialza. Per coprire gli ultimi 500 metri impiegherà dieci minuti. Taglia il traguardo sorretto da un giudice, poi sviene. Quanto basta perché il secondo classificato, l’americano Hayes, presenti un reclamo che la giuria è costretta ad accogliere. Il mondo si ribella. Pietri viene paragonato a Fidippide, partito di corsa da Maratona per morire 42 chilometri dopo sull’Acropoli, non prima di aver annunciato agli ateniesi la vittoria contro i Persiani. La regina Alessandra lo premia con una coppa, Irving Berlin gli dedica la canzone «Dorando» e Conan Doyle, il papà di Sherlock Holmes, lancia una sottoscrizione per comprargli una panetteria. Gli invidiosi insinuano: «Al traguardo puzzava di stricnina». In realtà era aceto balsamico misto a sudore. «Io sono colui che ha vinto e ha perso la vittoria», dichiara ai giornali. Si prenderà la rivincita al Madison Square Garden, staccando Hayes di mezzo giro. Muore a Sanremo nel 1942: c’è la guerra, la notizia passa sotto silenzio, ma la sua fama è intatta e, quando nel 1948 le Olimpiadi tornano a Londra, vi trovano Dorando Pietri che rilascia interviste a pagamento. un impostore, ovviamente. Da Carpi parte una delegazione per smascherarlo: gli parlano in dialetto e quello, che è di Pistoia, non capisce una parola.