MARCO VALLORA, La Stampa 18/7/2010, pagina 33, 18 luglio 2010
SI FA PRESTO A DIRE CARAVAGGIO
Ci sarà chi si stupisce della coincidenza e del tempismo con cui - proprio in concomitanza con lo scoccare del quattrocentesimo giorno-anniversario della morte del Caravaggio, proprio in quella data simbolico-mediata, coronata anche da una «notte bianca», per lui così «obscuro» - giunge la notizia-shock, che la Compagnia del Gesù abbia ritrovato tra i suoi beni un nuovo Caravaggio. Anzi, potremmo ironizzare: «un ennesimo Caravaggio». Ingenuità, perché chissà da quanto tempo si lavorava in segreto intorno a questa agnizione-boom, che forse, proprio tenendo conto della data propizia, è stata rivelata un po’ troppo precipitosamente.
Vogliamo dire: senza che ci siano ulteriori documenti a suffragare l’entusiasmo (un po’ in sordina), senza che ci sia un appoggio scientifico degno (questo per quanto è filtrato, sinora, dalla notizia), anzi, con qualche ragionevole cautela. Persino l’Osservatore Romano, che ne dà la buona novella (più in accezione religiosa, che non davvero attribuzionistica: sottolineando lo spirito autenticamente gesuitico dell’opera e avanzando soltanto qualche ipotesi sul rapporto del pittore con quella compagine religiosa), pare incline ai toni pacati. Letteralmente: «un Martirio di san Lorenzo, che sta affascinando i critici d’arte e sembra avere i crismi per un’attribuzione che, va detto, aspetta ancora la garanzia dell’ufficialità».
Ma, di grazia, quali critici ha affascinato? Certo, a vederlo nella fotografia, non troppo soddisfacente, in quella posa così singolare e quasi sfrontata, da un lato colpisce la fantasia del riguardante, sorpreso da tanto ardire di torsione, e però pone non pochi dubbi (non foss’altro che per quel panno, un po’ troppo novecentesco, guttusiano, che copre le pudenda. Anche se potrebbe benissimo esser posteriore: un pannolone del pudore gesuitico, alla Daniele da Volterra. Parliamo però di una foto poco chiara, curiosamente solo di un dettaglio di un quadro che non si vede nella sua interezza).
Certo, le tele vanno viste dal vivo. Ma solo un sovversivo rivoluzionario come il Caravaggio, pur a confronto con il primo e geniale, analogo Martirio del Santo crudelmente «fritto», che a tutti viene alla mente (quello strepitoso e senile del mai domo Tiziano, nella Chiesa del Gesuiti di Venezia, tutto oscurato di terrore, con la sola brace lampeggiante della graticola, che si divora il santo emaciato, già consumato e incenerito dal buio), ebbene solo un genio ribelle come il Caravaggio, poteva osare una posa, in piano americano, così naturalisticamente vera, ma al limite del sacrilegio (se non dell’eresia, che l’artista ha sempre costeggiato). Con il santo a pancia in giù, come un grande ustionato, o un batrace boccheggiante (pensiamo al Bramantino dell’Ambrosiana), la bocca stravolta dal dolore, muta di strazio, una mano che irragionevolmente si appende al ferro incandescente, ma deve pur trovare un appoggio a tutta questa costruzione così crollante. Quasi a sancire quel trionfo sadico del dolore. L’altra si protende verso di noi, come un urlo di richiesta d’aiuto, bucando la patina chiaroscurata della tela, arroventata dalla brace, quasi attirandoci nella trappola del martirio.
Ed è quello che i sostenitori dell’attribuzione sottolineano più intensamente: lo spirito gesuitico del quadro, secondo dettami controriformati (l’opera deve coinvolgere emotivamente lo spettatore), in questo caso rivolgendosi soprattutto ai giovani missionari del Gesù, che pregni della lezione di Ignazio di Loyola se ne partono per le Cine o le Indie, pronti a farsi altro che abbrustolire. Tutto questo va bene, ma: e Caravaggio, come si giustifica in tutto questo teorema? Lo aggiunge pure l’Osservatore, cautelativamente: si è ancora in attesa di riscontri documentali (intanto: si sapeva dalle fonti d’un Martirio di San Lorenzo, oltre a quello di Malta del San Giovanni decollato, con il sangue che ruscella e però, in quel caso, «firma» addirittura la tela? Il Bellori che dice a proposito, e il Baglione?) e soprattutto si avverte l’inevitabile necessità d’indagini radiografiche, che pure, in questi ultimi anni, tanti ulteriori problemi attribuzionistici hanno creato alla figura del Pittore Dannato (e fin troppo celebrato).
Certo, una posa così contorta e cascante ricorda molto da vicino il crollo di Saul, sulla via di Damasco, non ancora San Paolo, anche nella prima versione, protestata dai committenti (ovvero quella della Pala Odescalchi, che voci di corridoio vorrebbero appetita da Berlusconi). Ma basta questo a dirlo un Caravaggio? E poi, siamo così sicuri che tutto questo gioco perenne dell’agnizione continua giovi davvero alla statura dell’innocente perseguitato, Martire San Sebastiano del ritrovamento semestrale?