HANS-ULRICH OBRIST, La Stampa 18/7/2010, pagina 32, 18 luglio 2010
HOBSBAWM
Eric Hobsbawm, lei si è impegnato come storico per riportare la memoria nella coscienza pubblica. Perché la chiama una «protesta contro il dimenticare»?
« vero che la società e l’economia moderna operano essenzialmente senza tener conto del passato. Per risolvere i problemi si adotta una specie di metodo ingegneristico secondo il quale ciò che è stato fatto in passato è irrilevante rispetto a ciò che si deve fare nel presente. Eppure in termini di esseri umani e società umana, il passato non è irrilevante. Non lo è dal punto di vista soggettivo: tutti, di fatto, siamo radicati nel passato, personale e sociale, e visto che lo sappiamo ce ne interessiamo. A dire il vero il passato non è irrilevante nemmeno da un punto di vista sociale perché se ci dimentichiamo quanto è accaduto in precedenza finiamo per ripetere gli stessi errori all’infinito. In questo senso trovo che gli storici siano fondamentali per la società moderna perché hanno il compito di ricordare quello che gli altri vorrebbero dimenticare».
Lei ha parlato molto anche del Dna della storia. possibile leggere la storia come se seguisse le regole del genoma?
«La funzione fondamentale della storia, la domanda cruciale alla quale deve rispondere, fra le altre, è in che modo gli esseri umani siano arrivati dalle caverne a Internet. In questo senso la storia umana procede parallelamente alla scienza evolutiva ma non può adottarne lo stesso metodo socio-biologico perché è troppo breve per essersi evoluta secondo principi puramente darwiniani. Rispetto ai tempi geologici e persino archeologici, la storia umana è brevissima. Sono passati circa diecimila anni dall’invenzione dell’agricoltura, un niente in pratica, e solo cinquecento da quando abbiamo capito che il globo terrestre esiste come singola unità. Sarebbe impossibile comprendere i cambiamenti avvenuti negli ultimi duecentocinquant’anni se non in termini di esseri umani che prendono delle decisioni sullo sfondo di un determinato momento storico. C’è però, a mio parere, un altro vantaggio nel legare la storia alla biologia e alle scienze naturali evolutive, ed è questo: grazie ad esse, per la prima volta, abbiamo un’ossatura genuina per una storia globale - non semplicemente la storia di questo o quel paese - perché, grazie alle recenti ricerche sul Dna, oggi sappiamo in che modo gli esseri umani si sono effettivamente evoluti, come hanno colonizzato la maggior parte del pianeta e con quali tempi».
Si riferisce al concetto di cronologia del Dna?
«La cronologia del Dna è, per la natura delle cose, una cronologia globale. Nella misura in cui ce ne rendiamo conto, abbiamo una matrice che ci permette di comprendere la storia sia al livello globale che al livello comparativo, perché siamo in grado di mettere a confronto le cose accadute con i diversi modi in cui gli esseri umani si sono insediati nelle diverse parti del mondo. E questo è importante sotto tutti i punti di vista, non ultimo, ovviamente, quello delle arti, dato che le arti sono chiaramente uno sviluppo molto, molto precoce del comportamento umano».
Ho intervistato molti illustri neuroscienziati sulla memoria. Da Semir Zeki a Ernst Pöppel, da Wolf Singer a Israel Rosenfield; tutti dicono che la memoria è un processo cerebrale profondamente dinamico. Non un archivio statico, ma un processo. Come dire che la memoria non è mai uguale a se stessa. Nel suo lavoro lei ha quasi predetto questo approccio neuroscientifico perché ha sempre sostenuto che la memoria cambia.
«Se consideriamo i nostri ricordi è chiaro che esiste da qualche parte una banca dati, quello che cambia però - sia con l’età che con l’esperienza di vita - è ciò che tiriamo fuori da questa banca dati. Sarebbe bello riuscire a confrontare ciò che ricordiamo di un particolare episodio in momenti diversi della nostra vita, ma è comunque evidente che certe cose le riscriviamo in continuazione: riscriviamo la storia del nostro passato sia in termini di esperienze vissute che di nuovi problemi, ma recuperare il sostrato è difficile. E questo, per esempio, è uno dei motivi per cui le regole tecniche della ricerca storica sono tanto importanti. Non ci si può basare sulla memoria individuale per ricostruire una cronologia affidabile di quello che è successo davvero, ci si deve basare su qualcos’altro. L’ho scoperto in prima persona mentre cercavo di scrivere la mia autobiografia».
Un’autobiografia che si chiama «Anni interessanti». Ho appena cominciato a leggerla.
«Anni interessanti in un certo senso è una specie di lato B della mia storia del ventesimo secolo. Mentre Il secolo breve è la storia del ventesimo secolo con l’aggiunta qua e là di qualche illustrazione tratta dalla mia esperienza personale, Anni interessanti mostra come il ventesimo secolo ha influito sulla formazione del mio modo di vedere le cose, un modo che è cambiato. Nello scrivere la mia autobiografia mi sono accorto spesso che la mia memoria personale era completamente sbagliata: alcune cose semplicemente non le ricordavo, anche se poi magari ne conservavo un’annotazione scritta. O in alternativa persino le date di cose decisamente accadute le ricordavo solo nel loro contesto, non di per sé, ma perché inserite in un contesto. Se dovessimo affidarci soltanto alla nostra memoria non potremmo mai scrivere una storia accettabile. uno dei grandi inconvenienti dello scrivere storia orale; il segreto della metodologia storica in passato era che si doveva scoprire la possibile falla nei documenti. Alla fine del diciassettesimo secolo si è scoperto quale poteva essere la falla nella trascrizione dei documenti. Abbiamo bisogno di una disciplina analoga che si occupi della possibile falla della memoria: quanto è affidabile e in quali modi specifici opera? E qui entrano in gioco la neuroscienza e la psicologia, perché entrambe ci mostrano in che modo la memoria può essere fallace.