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 2010  luglio 18 Domenica calendario

QUELL’AFA CHE SCALDA I ROMANZI

Fa caldo, molto caldo, nei romanzi, un caldo maledetto. Quasi più che in questa torrida estate in cui la canicola ci fa schiattare. Forse vale la pena girare qualche pagina qua e là, a caso, per farsi vento.
Gustav von Aschenbach, il protagonista di «Morte e Venezia», si sta letteralmente disfacendo mentre cammina tra le calli nell’afa estiva.
Il personaggio di Thomas Mann prova una doppia calura: interiore, il desiderio, ed esterna, la temperatura bollente della città lagunare. Il caldo è foriero di morte. Lo ripete Camus nello «Straniero», là dove il delitto insensato, e inspiegabile, di Meursault è accompagnato dal refrain: «Faceva caldo, faceva caldo».
E ancora lo stupro perpetuato da Popeye, il nano impotente, su Temple, la ragazza, mediante una pannocchia di granoturco, punto culminate del capolavoro di Faulkner, «Santuario», suo massimo successo, accade nella calura del Mississippi, nella calda stagione tra maggio e giugno del 1929. Dunque il caldo fa impazzire, induce alla follia, al delitto, fa uscire di senno, prima di tutto i più deboli, i più fragili, i più impreparati a reggere le alte temperature accompagnate sovente da un’umidità terribile. Ma il caldo è anche un viatico all’estasi, alla visione, come accade alla tribù africana immaginaria narrata da Gianni Celati in Fata Morgana, titolo che richiama la figura stessa dell’apparizione improvvisa, instabile, immagine fluttuante a mezz’aria nel caldo allucinante del deserto. Caldo come uscita da sé, nello spazio del fantastico, dell’immaginario, dell’invisibile: il caldo fa vedere al di là del visibile, porta l’organismo a uno stato di estenuazione per cui si va oltre il corpo stesso, le sue appercezioni, e ci si apre a una condizione ulteriore.
Le alte temperature di «Sotto il vulcano» di Malcom Lowry mescolano calura e alcol in modo indistinguibile. E ancora il caldo di Conrad, dei suoi romanzi, viaggi nel cuore di tenebra dell’Occidente, al di là delle sue linee d’ombra, in paesi dove gli abiti si appiccicano alla pelle e le brezze cessano di spirare. Fa caldo nei mari del Sud, sotto la linea dell’equatore, se è vero che è il caldo che aiuta il giovane protagonista dell’«Isola del tesoro», a salire sulla tolda della nave e ad ascoltare, non visto, i discorsi del cuoco e dei suoi accoliti: pirati occulti. Sopra e sotto la linea dell’equatore: sembra che i romanzi gialli si dividano tra romanzi del caldo e romanzi del freddo. Se un tempo andava di moda il romanzo-caldo, con detective che combattevano l’afa mediante ventilatori e aria condizionata, oggi i delitti scendono dal Nord e affascinano gli accaldati lettori del Sud dell’Europa.
Il caldo/freddo partisce anche i luoghi di villeggiatura: mare e monti, con le conseguenze di selezionare le atmosfere del racconto. Calda è la città inventata da Tommaso Pincio in «Cinacittà», una Roma diventata più umida di Hong Kong, più appiccicosa di una metropoli asiatica. Roma senza vento, caldissima, come la ricorda anche Giorgio Manganelli nei suoi articoli estivi, non ancora abitata da orde di cinesi e orientali che l’hanno colonizzata. O la Milano assurda attraversata dal protagonista dei «Canti del caos» di Antonio Moresco. Scendendo verso il Sud del mondo, nel Sudafrica di Coetzee, fa sempre caldo, che si tratti di «Vergogna» o di «Aspettando i barbari», o ancora di «La vita e il tempo di Michael K». Il caldo lavora da fuori, ma svuota, ancora una volta da dentro, i protagonisti dei racconti e dei romanzi. Scendendo verso il Sud del Bel Paese, troviamo infine la Sicilia caldissima nei racconti di Verga, Pirandello e Sciascia.
L’autore del «Giorno della civetta», in particolare, fornisce una visione originale del calore come luce abbacinate, del sole che acceca. La morte il capitano Bellodi la scopre infatti nel chiarchiaro, un luogo di anfratti, caverne, spazio carsico dove si trova il cadavere che porta alla soluzione dell’enigma poliziesco. La morte, da sempre abbinata in Occidente al nero, in realtà è bianca, è il calore dell’estate, è il mezzogiorno, quando spariscono le ombre e appaiono gli spettri: nere visioni nel bianco abbacinante del giorno. L’estate è il nostro restate.