ANDREA MALAGUTI, La Stampa 18/7/2010, 18 luglio 2010
NEI LUOGHI DEL SOGNO
In questa corsa all’indietro, lunga cinquant’anni e molte vite, si parte dalla fine per capire quello che è rimasto. Tarda mattinata, Soho Square, al numero uno. C’è un vento che porta via, gli alberi si piegano nel parco acquistato dalla figlia del re del porno e la pioggia fitta scivola come un fiume sulle vetrate dell’ufficio di Paul McCartney. Lui non c’è, ma la ragazza giapponese non ci crede, urla all’impiegato che lo deve vedere, che è venuta da Tokyo apposta e che i suoi sogni sono appesi a questo unico momento. Il suo viso è una smorfia angosciata. L’impiegato prima fa la faccia dura, poi dice: «Venga, le mostro dove lavora, ma le giuro che Paul è negli Stati Uniti». Una carovana di turisti spagnoli scatta foto ricordo. Il vento fa volare i cappelli.
La nota che introduce il racconto del rapporto tra Londra e i Beatles - una nota bassa, malinconica - esce dal palazzo con i mattoni rossi e una insegna di tre lettere: MPL, che non è «McCartney Paul e Linda» come giurava qualcuno prima del divorzio milionario, ma più banalmente «McCartney Productions Ltd», etichetta da 30 mila dischi da Buddy Holly a Carl Perkins. E’ un mondo ricco, sofisticato, ma non è più lo stesso di allora - Anni 60, baby boom, Carnaby Street e il Time che si inventa la Swinging London, i Mods, le Lambrette, Mary Quant e «Love love me do, you know I love you» - quello bisogna trovarlo altrove, seguendo la cartina.
Pochi metri e si arriva al 17 di St. Anne’s Court, Trident Studios. Siamo nel 1967 e John Lennon si è da poco separato dalla moglie Cynthia, lei piange, racconta che se lo aspettava, che aveva avuto una premonizione all’inizio di agosto quando i Beatles vanno in America e i giornali scrivono che passeranno dalla Euston station. I fan arrivano a migliaia e mentre il treno parte un poliziotto acchiappa Cynthia scambiandola per una ragazzina impazzita, lei rimane a terra. Premonizione o no John e Cynthia si separano e Paul, che si è preso a cuore la sorti di loro figlio, registra Hey Jude, che inizialmente doveva chiamarsi Hey Jules, come il bambino di John, ai Trident Studios. «And any time you feel the pain, hey Jude, refrain, dont’ carry the world upon your shoulders». Non farti carico del dolore del mondo, ragazzino.
Julian è una fonte di ispirazione straordinaria. Un giorno di presenta da Paul con un disegno. Lui gli chiede: «Cos’è quello?» E Julian: «E’ Lucy nel cielo con dei diamanti» (Lucy in the sky with diamonds, o anche Lsd). McCartney rimane folgorato: «Titolo grandioso». Il mondo è ai loro piedi. «I Beatles sono più popolari di Gesù», sostiene John Lennon scatenando la furia del mondo cattolico. Arrivano minacce di morte. Tutto questo - la fama, i soldi, la Beatlesmania - era cominciato nel 1963, nella pancia di un teatro dove adesso danno Sister Act.
Il teatro, che si raggiunge da Carnaby Street passando davanti a un murales riprodotto nella copertina di St Pepper, si chiama Palladium e l’entrata è al numero 8 di Argyll Street. Nell’ottobre di 47 anni fa organizzò uno spettacolo Tv chiamato Val Parnel’s Sunday Night. La Bbc non registra l’evento perché il gruppo ospite della serata non è popolare. I Beatles sono superbi. Diciotto milioni di spettatori si incollano alla tv e fuori dal teatro si forma una calca infernale. Da quel momento c’è più Londra che Liverpool nella vita dei Favolosi Quattro e la sede della Emi, ad Abbey Road, diventa la loro seconda casa.
Please Please me, è in testa alle classifiche, sono i giorni dello scandalo di John Profumo, il Segretario di Stato alla guerra, trovato a letto con una prostituta che passava molte notti con una importante spia russa. Il governo conservatore cade, il Paese è scosso, i giornali si aggrappano alla Beatlesmania, mentre i laburisti aboliscono le leggi contro l’aborto e l’omosessualità. Londra si riempie di musica con i Rolling Stones, i Who e i Kinks e al Bag O’Nails Club di Kingly Street John Lennon conosce Yoko Ono. Sembra che tutto questo non debba finire mai.
A Saville Row, nel cuore di Myfair, di fianco ai laboratori dei grandi sarti, c’è la ex sede della Apple, un edificio comprato dai Beatles per mezzo milione di sterline e nel palazzo di fronte, al numero 3, la terrazza della loro ultima performance dal vivo. E’ il 30 gennaio del 1969, John saluta i fan in strada. «Vi ringrazio a nome del gruppo, mi auguro che abbiamo passato l’audizione». Addio.
Luglio 2010, fermata di St. John’s Wood, Jubilee Line, a trecento metri, sulla destra, c’è l’incrocio tra Grove End Road e Abbey Road. Turisti tedeschi e italiani attraversano le strisce pedonali, si fermano mostrando il profilo mentre tengono le mani marzialmente lungo i fianchi. Passi lunghi, gambe rigide. Flash. «Aspetta caro, un’altra, questa non è venuta bene». Le macchine attendono pazientemente, due troupe televisive, una canadese e una olandese, riprendono la scena. Fanno tutti lo stesso gesto dei quattro ragazzi di Liverpool. Davanti c’era John, vestito di bianco, le mani in tasca, poi Ringo. Il terzo era Paul, scalzo, con una sigaretta nella mano destra - «Lui o il suo sosia? Perché ha la sigaretta nella destra visto che è mancino? Il vero Paul è morto in un incidente stradale nel 1965?», le leggende metropolitane si inseguono -, George è l’ultimo. La foto diventa la copertina di un album, poi un mito, mentre il gruppo è al collasso e i ragazzi diventati dei non sanno più come andare d’accordo. Era l’8 agosto del 1969 ed è stato per sempre.