Domenico Quirico, R.Mol., La Stampa 18/7/2010, pagina 1, 18 luglio 2010
IL CACAO MAI COSI’ CARO IN 33 ANNI (2
pezzi) -
Il cacao è il petrolio di mezza Africa. Per questi chicchi sono scoppiate rivoluzioni, si sono consumati golpe, si combattono guerre. Soprattutto adesso, con i prezzi ai massimi da 33 anni. Come in Costa d’Avorio. Iniziò, come tutti i Vietnam della storia.
In modo banale, sonnolento, con diluizione omeopatica. L’ex colonia della Francia fino ad allora, correva il 2003, era abbonata più alle brochure delle agenzie turistiche che ai dossier dell’Armée. Parigi controllava tutto, in particolare i settori del cacao e del caffé, era una goduria di contratti, di tangenti, di (buoni) affari, insomma la «francAfrique» in tutto il suo splendore.
Il presidente, Laurent Gbagbo, è un socialista (all’africana), vanta una biografia impreziosita da un pizzico di galera e da un esilio a Parigi, prima di conquistare il Palazzo con il consenso francese. Il suo problema era quello comune a tutti gli autocrati africani: conservarlo, il potere. Un giorno commise il peccato più imperdonabile: non rispettare il tacito accordo secondo cui l’economia doveva gonfiare sole le borse francesi. Nel 2002 imprese americane come la Cargil e la ADM erano entrate nel settore chiave del cacao. Sei milioni (su una popolazione totale di 15)vivono di questa produzione. In questo paese il cacao costituisce il 50% dell’export, il 40 degli introiti dello Stato e il 15 del prodotto interno lordo.
Il 20 settembre del 2002 con imbarazzante tempismo sulle cadenze di questa decolonizzazione tardiva, una rivolta di misteriosi ribelli nordisti eliminò alcuni uomini forti del presidente e si impadronì delle province settentrionali. Parigi mandò centocinquanta uomini, naturalmente «per assicurare la sicurezza dei connazionali in pericolo»; poi altri mille per difenderli, poi altri ancora per assicurare il cessate il fuoco. Contro i francesi il presidente scatenò la caccia all’uomo con violenze e saccheggi: in nome dell’indipendenza. La Francia è rimasta insabbiata in questo costoso guazzabuglio prima di rassegnarsi a perdere il monopolio, alzare bandiera bianca e lasciare il posto alla comunità internazionale. Che non è ancora riuscita a organizzare, dopo la tregua bellica, elezioni libere in tutto il paese. Non c’è accordo sulle liste elettorali, si temono brogli.
Ogni nuova voce di crisi, di crescita della tensione tra il presidente e i «ribelli» del nord, provoca turbamenti: sul prezzo del cacao, il bottino di questa guerra sporca. Perché Gbagbo è un gran farabutto di intrighi, che nell’esilio deve aver letto Talleyrand. In anni di finta tregua si è rafforzato con i milioni del prezioso cacao. E non vuole cedere la chiavi della cassaforte proprio adesso che i prezzi crescono. Alla fine degli anni settanta il prezzo del cacao era di 4000 dollari la tonnellata. Bei tempi, età dell’oro! Che paiono tornati. Oggi si mercanteggia a 3000 dollari alla Borsa di Londra, che con quella di New York fissa i prezzi e fa il bello e soprattutto il cattivo tempo anche in questo settore. Dal 2009 i prezzi sono di nuovo in ascesa. C’è chi accusa gli speculatori, altri le notizie della produzione in discesa e del calo della domanda in Europa fino al 2011. La crisi, ahimé, colpisce anche i golosi. Stime al ribasso che molti sospettano spesso false e interessate. Il cibo degli Dei atzechi ha di nuovo arrotondato alcuni conti in banca, ma non sono purtroppo quelli di milioni di piccoli produttori. Quelli che sudano come sempre nei campi del Ghana e della Costa d’Avorio per riempire speranzosamente i sacchi destinati al magazzini delle multinazionali dell’alimentazione.
Eppure per un breve periodo il soffio del terzomondismo rivendicativo pareva aver contagiato anche questi chicchi preziosi. Come è successo anni fa con i produttori del petrolio, l’Africa aveva deciso di non accettare più i diktat dei compratori e di staffilare le speculazioni ai suoi danni. Il continente, in fondo, assicura l’80% della produzione mondiale! Ci sono paesi in cui la variazione di alcuni centesimi sulle quotazioni significa il passaggio dalla povertà alla miseria, bilanci statali sono in attesa ansiosissima di sapere quanto, a New York ed a Londra, saranno generosi. E allora gli otto maggiori paesi produttori, Costa d’Avorio, Ghana (i due giganti mondiali) Nigeria, Camerun, Gabon, Sao Tomè e Principe, Togo e Uganda, decisero di formare un cartello, l’apriti sesamo per diventare da deboli forti. Si riunirono a Abujia in Nigeria nel 2006 e copiarono le strategie già efficacemente praticate dai paesi produttori di oro nero. Ad esempio per assicurare un equilibrio tra domanda e offerta sulle cui sfasature i compratori occidentali arrotondano i dividendi (negli ultimi 40 anni la produzione è cresciuta di tre volte) si annunciò, finalmente, una politica di riserve comuni di prodotto. Per scompigliare il fronte «nemico» sembravano già pronti nuovi mercati, in rapida ascesa, la Cina diventata golosissima e l’India che non chiedevano altro di mettersi in efficace concorrenza con gli occidentali.
Da sempre padroni: l’Europa con seicentomila tonnellate assorbe l’80% della produzione della Costa d’Avorio. Non ha funzionato. L’eldorado del cacao resta un pozzo di nequizie, un labirinto di ingiustizie e porcherie. Ai produttori resta ben poco di questa manna: dallo 0,4 allo 0,5 euro al chilo, in Ghana leggermente più generoso si arriva allo 0,8. Nelle piantagioni sgobbano torme di immigrati da paesi ancora più disperati, spesso bambini-schiavi ingaggiati da luridi mercanti di carne umana. Il cacao alimenta le aspirazioni quattrinarie dei politici, le loro smodate corruzioni. Gli Enti statali che gestiscono i contratti internazionali sono enciclopedie di traffici e parassitismi. E serve a pagare e tenere vispe le guerre civili.
Domenico Quirico
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Guido Gobino Artigiano del cacao
Come mai il prezzo del cacao è arrivato così in alto?
«E’ quasi un anno che il mercato del cacao è in tensione. Da un lato per una leggero calo nei raccolti, dall’altro e soprattutto per manovre speculative di fondi come quello inglese. Sulle piazze di Londra e New York la speculazione con il gioco dei future si è spostata, negli ultimi tempi sulle soft commodity. Rispetto ad altre materie come caffè o zucchero il cacao ha il mercato più piccolo e risente maggiormente di queste manovre. In questo momento siamo arrivati a 3000 dollari la tonnellata, solo cinque anni fa era intorno a 900 e allora era in realtà forse troppo basso. Questo prezzo vale per le qualità standard, chi come me cerca prodotti di qualità superiore e di provenienza particolare (quello del Centro America è più pregiato rispetto a quello africano) si trova a comprarlo a prezzi che sono anche tre volte superiori».
Chi viene danneggiato maggiormente da questi rialzi?
«Ad essere danneggiati più che le grandi industrie del cioccolato, sono in tutto il mondo i piccoli artigiani che puntano sulla qualità. Le grandi industrie infatti non dichiarano sui loro prodotti la provenienza della materia prima e possono anche mescolare cacao diversi. Inoltre sovente nei loro cioccolati il cacao non supera il 50%, mentre nei nostri le percentuali vanno dal 70 al 90%.
Quando i consumatori risentiranno di questi aumenti?
«Non subito perché gli acquisti li abbiamo fatti ancora ai prezzi ”vecchi”, di un 10-15 % inferiori a quelli attuali. Il raccolto avviene due volte l’anno, a maggio e a novembre, e gli acquisti di maggiore entità li facciamo allora. Le scorte che abbiamo ci consentono di andare avanti fino a dicembre. Ma di certo, se i prezzi non caleranno di qui a novembre (e temo di no, proprio perché la speculazione in questo momento sta giocando al rialzo) a gennaio dovremo rivedere i listini».
R.Mol.