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 2010  luglio 18 Domenica calendario

IL MILITE IGNOTO DELLA SCIENZA ITALIANA

C’è un milite igno­to nella storia della scienza ita­liana. Si chiama Riccardo Giac­coni. Ignoto per modo di dire, s’intende. Non c’è Accademia internazionale, non c’è Università famosa,non c’è giu­ria di Nobel che non lo conosca. Ma la maggior parte dei connazio­nali non sa chi è, anche perché lui non fa nulla per informarli.
Non so se come scienziato ab­bia avuto tutto quello che merita. Credo di no, perché è uno dei po­chi grandi astrofisici del nostro tempo e non mi sembra che co­me tale sia stato finora pienamen­te riconosciuto. Ha vinto il Nobel, ma non c’è dubbio che nel nostro Paese non ha avuto nulla di quel che gli era dovuto: neanche una Croce di cavaliere, che qui non si nega a nessuno,neanche un«Am­brogino », lui che è milanese d’adozione. Come se fosse nato in un Paese non suo - eppure è di Genova, ha vissuto, studiato, si è laureato e ha insegnato a Milano­incapace di alloggiare un perso­naggio di così grande potenza cul­turale e creativa. Perché non c’è dubbio che tutto quanto di buo­no ha fatto l’astrofisica negli ulti­mi 50 anni ha la sua impronta; spe­cie quella in raggi X, che è tutta opera sua.
C’è da chiedersise un fatto così sarebbe mai potuto accadere al­trove, in Francia ad esempio, do­ve la società assegna a ogni big la sua parte ben precisa, come in tea­tro, e gli permette di emergere, an­zi glielo impone. Ma Giacconi purtroppo è nato e cresciuto in questa Penisola dove i veri talenti a volte sono lasciati in disparte, senza che la loro voce, specie se non è «politicamente corretta», trovi cassa di risonanza nei me­dia. Si tratta di un caso forse uni­co. Alla vigilia del suo settantano­vesimo compleanno questo scienziato ancora aspetta, ma sen­z­a ansietà anzi con assoluta indif­ferenza, di sapere il posto che gli verrà assegnato nell’immagina­rio e nel giudizio degli italiani.
Professore di astrofisica alla Johns Hopkins University di Balti­mora, inventore dell’astronomia in raggi X, progettista di alcuni dei più potenti satelliti per telescopi oggi in orbita (dallo Skylab al­l’ Uhuru dal Chiandra all’ Ein­stein ), iniziatore dell’astronomia ottica spaziale, vincitore nel 2002 del Nobel per la fisica (ultimo ita­liano in ordine di tempo dopo Marconi, Fermi, Segrè e Rubbia), quando chiedo a cinquanta pro­fessionisti e studenti universitari di casa nostra «Chi è Riccardo Giacconi?», la risposta è imman­cabilmente «Non so».Eppure l’in­vestitura di Stoccolma, otto anni fa, è troppo recente per essere già stata cancellata dalla memoria collettiva; inoltre quasi tutti han­no mostrato di avere qualche in­formazione, almeno approssima­tiva, su Marconi e Fermi.
Una amnesia generale che sor­prende e stupisce o piuttosto una inconscia discriminazione indot­ta dai media di cui Giacconi non ha mai voluto servirsi per procu­rarsi notorietà? Schivo e scontro­so, con un’ombra di malinconia sul volto e nel cuore, questo genio dell’astronomia,il più grande do­po Galilei, non ha complicità né amicizie politiche; semmai è guar­dato con sospetto dall’ establish­ment culturale di casa nostra che non gli perdona certi modi di agi­re «politicamente scorretti»,poco à la page o addirittura «reaziona­ri », come quella sua ammirazio­ne per Arthur Koestler, scrittore di cosmologia ne I sonnambuli e
autore del famoso romanzo Buio
a mezzogiorno (1940), la più luci­da e documentata denuncia anti­marxista e antistalinista della let­teratura mondiale.
«La discriminazione su Giacco­ni ci sarebbe stata anche senza l’antipatia dei media italiani» di­ce Sandra Savaglio, giovane e bril­late scienziata dell’Istituto Max Planck per la Fisica extraterrestre di Monaco di Baviera e per diversi anni collaboratrice del professo­re al «Phisics and Astronomy De­partement » della Johns Hopkins University di Baltimora. «Quel giorno d’autunno del 2002,quan­do gli assegnarono il Nobel, io so­no per caso all’E.S.O. (Southern European Observatory, osserva­torio australe europeo) che lui ha diretto per cinque anni, dal ”92 al ”97, e che è a pochi passi dal Max Planck di Garching dove lavoro. Da Ginevra un collega mi manda un sms con la notizia. Subito, mol­to emozionata, mi precipito nei vari reparti, quasi grido l’annun­cio; ma fra sorpresa e stupore av­verto che non interessa a nessu­no, o almeno mi sembra. Hanno lavorato con lui, ma è come se non l’avessero mai conosciuto. Più tardi mi sforzo di capire per­ché, e la verità viene a galla. Quan­do Giacconi, che era a Baltimora, appunto nel ”92, viene chiamato qui a Monaco per organizzare e di­rigere l’E.S.O., immediatamente applica i metodi di ricerca e di la­voro tipicamente americani. Con la sua capacità di manager, in bre­ve raggi­unge tutti gli obiettivi con­nessi al progetto del più grande os­servatorio astronomico terrestre e realizza il «V.L.T.» (un insieme di quattro telescopi, del diametro di otto metri ciascuno, capaci di operare in contemporanea); ma per fare tutto ciò taglia un muc­chio di teste. Lui non si preoccu­pa dei rapporti sociali, così scon­tenta i ricercatori, riceve un sacco di denunce, perde diverse cause. Ricordo anche un altro episodio­conclude Sandra Savaglio - : il piazzale davanti all’E.S.O. pieno di gente con fischietti e cartelli che protesta contro Giacconi, co­me può succedere alla FIAT, o al­la BMV. Poco tempo dopo se ne è andato da Monaco. Certo non si è fatto amare, ma i risultati scientifi­ci e tecnologici che ha ottenuto qui sono eccezionali».
Eccezionali come la sua biogra­fia di «ragazzo ribelle senza fissa dimora, un po’ a casa della ma­dre, del padre, delle zie, dei cugi­ni », irrimediabilmente segnata dalla morte del primogenito Marc, che in un incidente d’auto si schianta contro un albero, a Bal­timora, a pochi passi da casa. Stra­ordinari come la sua opera, che da figlio di un carpentiere e di una insegnante di matematica nei li­cei milanesi lo porta a diventare il numero uno nell’astrofisica con­temporanea.
Autore, negli anni Sessanta, del­la prima osservazione di una sor­gente cosmica a raggi X al di fuori del sistema solare, non c’è dub­bio ch­e il suo inedito universo rap­presenti una stupefacente rivolu­zione nell’astronomia che, quat­tro secoli dopo Galilei, passa dal «perspicillum» dell’osservatorio di Arcetri a strumenti che, come i telescopi lanciati nello spazio a bordo di razzi o satelliti, consento­no espl­orazioni nel cosmo un mi­lione di miliardi di volte più estesi di quelle consentite al genio di Pi­sa.
Per molto tempo, fino al 1930, si era pensato che l’universo fosse un posto tranquillo;l’occasionale esplosione di una Nova o la disin­tegrazione violenta di un astro, eventi piuttosto rari. Ancora alla fine del secolo scorso le stelle di neutroni e i buchi neri - dove la gravità è così forte da impedire an­che l’uscita della luce- erano pen­sati solo come oggetti ipotetici. La situazione cambia negli ultimi 40 anni, quando diventa chiaro che il cosmo, dilaniato incessante­mente da enormi iniezioni di energia, è un via vai frenetico di morti e resurrezioni, come succe­de nei pulsar, stelle rotanti di neu­troni che muoiono rinascono tor­nano a morire e rinascere emet­tendo radiazioni su tutte le lun­ghezze d’onda, a cominciare dai raggi X. L’identificazione delle sorgenti di raggi X fuori del sistema solare fatta da Giacconi nel ”68 e confer­mata dallo stesso scienziato nel 1970 con il satellite Uhuru e i suoi rilevamenti è un passo fondamen­tale nell’astronomia moderna; per mezzo di telescopi orbitanti come Chiandra , Uhuru e Ein­stein
si scoprono nel cosmo nuo­ve classi di oggetti, dai quasar ai pulsar alle stelle binarie, a confer­mare sperimentalmente la teoria di Heisenberg dell’universo in continua espansione. Giacconi ha pure accertato che la maggior parte della materia cosmica «nor­male » si presenta sotto forma di gas a temperature di milioni di gradi e che esiste una materia non «normale», chiamata oscu­ra, la quale si rivela solo attraverso gli effetti gravitazionali ma la cui natura ci è ignota e pure un’ener­gia oscura di cui non abbiamo al­cuna idea. La materia «normale» è solo il 3% della massa dell’uni­verso, mentre il 27% è materia oscura e il 70% energia oscura. forse la scoperta più straordinaria di questo astrofisico che proprio con le sue originali geniali ricer­che sui telescopi orbitanti e l’uni­verso in raggi X è riuscito perfino a imprimere una svolta fondamen­tale nello sviluppo tecnologico del pianeta, dalla realizzazione delle macchine per la risonanza magnetica ai metal detector.
«In ogni caso, quel poco che sappiamo del cosmo lo abbiamo appreso tutto negli ultimi cent’an­ni », spiega a questo punto lo scien­ziato. «Così oggi viviamo un perio­do eroico dell’astronomia ben­c­hé abbiamo dinanzi troppi inter­rogativi a cui non sappiamo ri­spondere: il più inquietante, che cosa c’era prima del Big Bang? Perché è sempre fondamentale, in tutti i campi, ritrovare le pro­prie radici. Io per esempio, ben­ché ligure, mi sono formato a Mi­lano­e questo è stato determinan­te per me », dice Giacconi tra orgo­glio e rimpianto. «Sono arrivato in questa città che avevo cinque anni, ho cominciato le elementa­r­i al Collegio militare di San Celso, a Milano ho conosciuto la ragazzi­na, Mirella, che poi sarebbe diven­tata mia moglie. Avevo appena sei anni quando i miei genitori si separarono: lui operaio, sociali­sta, antifascista; lei insegnante di liceo, iscritta al Pnf, con due sorel­le, le mie carissime zie, fascistissi­me. A Milano nel ”45 ho visto per la prima volta i soldati americani. Ero in Piazza Duomo con mio pa­dre che mi disse: ”Sono contento che siano arrivati, ma lo sarò an­cor più quando se ne andran­no” ».
Il professore continua: «Molto presto, circa a 18 anni, capii che l’Italia,con i nuovi partiti,stava di­ventando prigioniera della corru­zione e della mafia. Perfino nella ricerca scientifica i manager veni­vano scelti per clientelismo. Così cominciai ad amare l’America, a coltivare il mio sogno americano, e nel ”56, dopo la laurea in Fisica, partii per gli Usa. Mirella mi rag­giunse tre mesi dopo, a Bloomin­gton, dove avevo trovato lavoro al­­l’Università dell’Indiana. Ci sia­mo sposati e abbiamo avuto tre fi­gli, due femmine e un maschio. Più tardi siamo rientrati nel no­stro Paese diverse volte, per il pro­getto San Marco e per la realizza­zione dell’Icra. Questa è la mia sto­ria. Queste le mie radici. Ma quali siano quelle dell’Universo pro­prio non so».