Gian Marco Chiocci Mariateresa Conti, il Giornale 18/7/2010, pagina 7, 18 luglio 2010
GLI AFFARI COL TRUCCO DI REPUBBLICA IN SARDEGNA
Non una semplice amicizia casuale nata per il fatto di essersi ritrovati, insieme, soci di uno stesso giornale, La Nuova Sardegna . Non un banale contatto confidenziale legato alle azioni in comune, quelle del quotidiano sardo acquistate nel 1980. Il rapporto che legava il principe Carlo Caracciolo, defunto presidente del gruppo L’Espresso e cofondatore con Eugenio Scalfari di
Repubblica al faccendiere Flavio Carboni, l’uomo dei mille intrighi al centro ieri dello scandalo P2 e oggi dell’ affaire P3, era piuttosto stretto. Altro che la riunione, singola, in casa di Denis Verdini, contro cui Repubblica ora tuona. E la chiave di volta sta proprio in quell’affare di 30 anni fa, l’acquisto da parte del gruppo Espresso de La Nuova Sardegna .
Un affare che, raccontano le cronache dell’epoca, nasconderebbe un inghippo: in barba alle prescrizioni della Regione Sardegna, che poneva come condizione che l’acquirente avesse una maggioranza qualificata ma non assoluta, e che la rimanente parte fosse suddivisa tra operatori economici sardi, l’accoppiata Caracciolo-Scalfari ebbe di fatto il 52% delle azioni, e la Sofint di Carboni e Emilio Pellicani il 38%. Insomma, una maggioranza bulgara. Che secondo alcunifu anche l’incipit delle grandi fortune del faccendiere, «il gran maestro della P3 intrinseco all’album di famiglia proprio del berlusconismo», scrive oggi Repubblica . Dimenticando quando Carboni era di casa eccome, ma con Caracciolo, non con gli uomini del Cav.
La storia è raccontata in «Rosso e Nero», la rubrica che Beppe Niccolai teneva nei primi anni ”80 sul Secolo d’Italia , organo, all’epoca del Msi-Destra nazionale. Il 6 agosto del 1982 Niccolai annota: «La fortuna di Flavio Carboni si chiama l’accoppiata Corona-Caracciolo, ed è strettamente legata alle vicende dell’acquisto da parte dell’editoriale L’Espresso del quotidiano La Nuova Sardegna ». Fermiamoci un attimo. Il Corona cui Niccolai fa riferimento è Armando Corona, gran maestro della massoneria nonché, all’epoca della vendita de La Nuova Sardegna , presidente del Consiglio regionale. Niccolai nella rubrica ricostruisce l’assetto societario della Nuova Sardegna : 52% all’Espresso, 35% alla Sofint di Carboni e Pellicani, solo il 13% alla Sir e ai sardi. «Dietro questa ripartizione – scrive Niccolai – c’è l’inganno. Come è stato possibile? Ce lo dice lo stesso Caracciolo, che nel difendersidalle contestazioni di avere acquistato La Nuova Sardegna truffaldinamente scrive in data 10 luglio 1981 al presidente della Sir finanziaria (Gianni Fogu) affermando che tutto quanto è statofatto e perfezionato – dietro il previsto accordo con il presidente del Consiglio regionale” ( appunto Corona, ndr ) e che ”se lo ritiene può, all’occorrenza, mettere a disposizione la relativa corrispondenza” ». Chi favorì, dunque, Carboni? Il gran maestro Corona? O proprio il socio di maggioranza Caracciolo? Corona, ascoltato nel 1982 dalla Seconda commissione consiliare della Regione Sardegna, che su quella vendita anomala aprì subito un’indagine, giura di «non avere dato l’autorizzazione in nessuna forma al presidente dell’editoriale L’Espresso , Carlo Caracciolo, per la cessione della quota» finita per il 35% a Carboni. Caracciolo invece ha sostenuto di avere avuto le prescritte autorizzazioni regionali. Vediamo cosa racconta sul punto lo stesso Caracciolo, nel verbale del 19 agosto del 1982 contenuto nella sentenza di primo grado del processo per il crac del Banco Ambrosiano: «Ebbi dei colloqui ”ricostruisce Caracciolo parlando della fase delle trattative – col presidente del Consiglio regionale Ghinani e con il presidente dell’assemblea regionale sarda, Armando Corona, persona peraltro a me già nota perché molto amica di miei amici come Spadolini e il compianto Ugo La Malfa. La soluzione proposta dalla Regione sarda, che noi accettammo, consisteva nell’acquisto da parte nostra del 48% del giornale, in un altro 48% che sarebbe stato acquisito da un gruppo formato da sardi e in un restante 4% che sarebbe rimasto in mano alla Sir e che sarebbe andato in mano ad altri enti pubblici sardi. a quest’epoca che data l’inizio dei miei rapporti con Flavio Carboni che peraltro avevo avuto modo di conoscere in un’altra precedente occasione ma in modo del tutto occasionale e formale. Il Carboni mi chiese esplicitamente se avessi qualcosa in contrario ad una sua partecipazione al gruppo dei sardi che avrebbe acquistato l’altro 48% del giornale. Risposi che non avevo evidentemente nulla in contrario. Perfezionato l’acquisto, devo dire che il Carboni si dimostrò molto utile e molto attivonell’organizzare contatti e incontri». Di qui gli stretti rapporti confidenziali, il reciproco «tu», gli incontri. Quei rapporti stretti che Repubblica oggi preferisce dimenticare.