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 2010  luglio 17 Sabato calendario

DA GIULIO CESARE A MARRA, TORNA LA SINDROME DEL RIPORTO

Ardita terza via tricologica fra la calvizie e il trapianto chirurgico, il riporto nel­l’immaginario lombrosia­no è indice di doppiezza sfuggente, di subdola un­tuosità, di sottile ipocrisia. Falsificazione dell’idea stessa di scriminatura, non sta né di qua, né di là. Chi sceglie il riporto è un pavi­do, perché non ha il corag­gio di rasarsi del tutto i capelli. E un mellifluo, perché vuole convincerti bas­samente di averli.
Chi lo porta, il riporto, è un so­fista del pelo, un azzeccagar­bugli cutaneo, un infido dop­piogiochista. Sarà per que­sto, forse, che l’acconciatura posticcia eccelle tra gli uomi­ni di legge e tra i politici. I qua­li, a caso, sono famosi per spaccare il capello in quattro. O cercare il proverbiale pelo nell’uovo.
 un magistrato Alfonso Mar­ra, presidente della Corte d’appello di Milano, balzato in questi giorni agli onori del­la cronaca per la vicenda P3 e per l’impresentabile riporto raccomandatizio, tinto di co­lori oscuri. un politico di lungo pelo l’onorevole Gerar­do Bianco, deputato in nove legislature, esponente di quattro partiti e titolare di un imponente riporto da prima Repubblica, poi azzerato dal­le Mani pulite di un colluso barbiere di Montecitorio. Ed è avvocato e politico, sintesi pilifera delle sottigliezze pro­prie della professione legule­ia e dell’arte di governo, il pre­sidente del Senato Renato Schifani. Il cui gattopardesco riporto, di una lunghezza che stava in sezione aurea con il diametro degli occhiali da ar­­chivista, divenne a un certo punto un affare di Stato, oltre che una questione di decoro istituzionale. Tanto da co­stringere pietosamente il Pre­mier ad intimargli, come si disse, di dargli un taglio. In nome del popolo italiano e pure della decenza televisi­va. Berlusconi Deus ex forbi­ce .
Per secoli tollerato dalle con­venzioni sociali che vedeva­no nella rasatura totale un at­to di arroganza e nella calvi­zie un sintomo di scarsa virili­tà, il riporto dei capelli è oggi (purtroppo!) in caduta libe­ra, vittima di una cultura spie­tata della perfezione corpo­rea­che impone o una nuca ci­nematograficamente leviga­ta alla Luca Zingaretti, oppu­r­e un tupé sportivamente gla­mour alla Andre Agassi. Aut aut. Anche la semicalvizie, di questi tempi, è in crisi.
Eppure, la Storia riporta cele­bri e celeberrimi casi. Giulio Cesare, generale, dittatore e divus , non ebbe paura né dei Britanni né dei Galli né degli Elvezi né dei senatori roma­ni, i peggiori di tutti. Ma era terrorizzato dalla calvizie, so­vente soggetta alla derisione dei suoi nemici. Anche prima del furore della battaglia, di­cunt , Cesare si dedicava a ti­rarsi sulla fronte, dalla som­mità del capo, gli scarsi capel­li. E fra tutti gli onori che gli furono conferiti dal Senatus populusque romanus nessu­no ricevette e praticò più vo­lentieri del diritto a portare sul capo una (coprente) coro­na d’alloro. Alopecia iacta est .
Napoleone, orgoglioso e vani­toso com’era, odiava due co­se in uguale misura: gli ingle­si e l’incipiente calvizie. Per vincere la quale ricorreva, nella toilette quotidiana, al deprecabile riportino, con­scio c­he un taglio o un’accon­ciatura sbagliata possono tra­sformarsi in una tragedia. Sia in guerra sia in amore, sia in politica sia in televisione. Do­ve, peraltro, il riporto o par­rucchino catodico ha fatto la fortuna di altrimenti anoni­mi giornalisti, come il telecro­nista di 90˚ minuto Franco Strippoli da Bari, oppure ha rinfoltito quella di semprever­di capoccia dello schermo, come Aldone Biscardi. Pro­fessione riport .
L’inclemenza della natura può colpire democratica­mente tutte le teste. Ma tra quelle baciate dalla fortuna epperò abbandonate dai ca­pelli, quelle costrette per ob­blighi professionali a stare sotto i riflettori, rifulgono di più. Ecco perché il cinema e lo sport, in questo campo, hanno dato tanto. Il riporto col borsello di Lino Banfi nel­le scollacciate commedie sexy all’italiana di viscida me­moria. L’elegante riporto al­l’inglese di Bobby Charlton, che prima di ogni partita uti­lizzava come collante una mi­scela di the Twinings e lucido per scarpe Queen’s Garden .
L’incomprensibile riporto al­l’americana di Dan Peterson, Chattanooga Tennessee.
Mmmhmmh , per me Nume­ro uno. Oppure, negli stessi anni televisivi, Dick Van Pat­ten alias Tom Bradford della Famiglia Bradford, che aveva otto figli Bradford e un ripor­to lungo 112 episodi.
Bislungo modello «Bar sport», spalmato «a mulinel­lo », pomposamente «a tur­bante », liscio o gonfiato, un­to o laccato, il riporto è un mo­do, come ogni pettinatura, per affermare il proprio carat­tere, per provocare scandali (o disgusti), per opporsi alle consuetudini sociali o anche soltanto per proclamare la propria filosofia di vita: «Po­co è meglio di nulla», afferma cristianamente il riportato; «Nulla è meglio di poco», obietta nietzscheianamente il rasato.
Può essere un insulto alla po­vertà, come il miliardario Do­nald Trump che mostra con orgoglio il suo riporto impe­ri­ale senza aver pudore nel di­fenderlo: «Molti criticano la mia pettinatura. Ma io devo piacermi, non piacere». O uno schiaffo allabellezza,co­me l­’attore hollywoodiano Ju­de Law che pur con il suo affa­scinante «ritocco» nel 2004 fu eletto dalla rivista People l’« uomo più sexy del mondo». Chi ha detto che è meglio The Final Cut ?
Maledizione geneticamente maschile, insormontabile barriera sociale e ultima spiaggia al di là dell’onore e della farmacologia, il riporto - che non maschera mai abba­stanza e copre sempre trop­po poco - è, come lo stereoti­po teatrale del dubbioso Am­­leto, la metafora di una in­quietante insicurezza. Spa­ventosa, come quello di Da­rio Argento. Incomprensibi­le, come quello di Celentano.