il Fatto Quotidiano 17/7/2010;, 17 luglio 2010
”HO SCOMMESSO SULL’ITALIA, MA ORA VOGLIO TORNARE ALL’ESTERO”
Sono un ”cervello rientrato” che dopo 10 anni di lavoro in un’università straniera ha deciso di scommettere sull’Italia. La mia sembrava una storia a lieto fine. Ora, dopo quasi 6 anni, sto pensando di emigrare di nuovo. Sono tornato in Italia nel più trasparente dei modi, sulla base del curriculum e delle pubblicazioni. All’Orientale di Napoli ho trovato un ambiente integro e serio. Colleghi di ottimo livello, una facoltà libera da baronie, studenti brillanti ed impegnati. All’estero avevo un lavoro permanente – tornando in Italia ho avuto prima un contratto a termine per tre anni (con la legge sul ”rientro dei cervelli”) e poi sono entrato in ruolo in attesa di conferma (altri tre anni a stipendio ridotto). Anche se l’attesa della conferma mi rende in qualche misura ”precario”, i colleghi mi hanno eletto presidente di un corso di laurea. Molti di coloro che erano tornati in Italia sono fuggiti di nuovo. Io invece mi sono sentito accolto e valorizzato: ho avuto fortuna o forse l’Orientale resta un ateneo speciale. Insomma, la mia sembrava una storia a lieto fine. Adesso, però, la situazione sta diventando disastrosa. La mancanza di risorse e di turn over sta uccidendo l’università. Il carico didattico sta diventando tale da non lasciarci tempo per la ricerca – e alla fine siamo giudicati per le pubblicazioni e non per la didattica (che pure io amo). Questo governo ha dichiarato guerra all’università pubblica, sparando nel mucchio e penalizzando chi lavora seriamente invece di eliminare gli sprechi e contrastare i comportamenti baronali. Nonostante una gestione economica oculata – non abbiamo debiti, siamo proprietari di tutti gli immobili che usiamo – anche il mio ateneo è a rischio. Ora la manovra finanziaria introduce tagli alle retribuzioni, che colpiscono innanzitutto chi è a livelli salariali più bassi e incredibilmente anche chi come me è in attesa di conferma (e quindi della ricostruzione della carriera). L’università italiana affonda. Resistiamo, ma per quanto ancora? L’inadeguatezza dei salari porterà molti a cercarsi fonti di reddito altrove, di conseguenza dedicando meno tempo e meno energie al lavoro accademico. Noi docenti siamo considerati dal governo degli inutili fannulloni e il lavoro onesto di chi ancora crede nell’università pubblica non fa notizia. Allora forse è il momento di fare di nuovo le valige e partire. Con la morte nel cuore, perché la mia sembrava una storia a lieto fine.
Pietro Masina Prof. Associato di
Economia Politica Internazionale
Università di Napoli L’Orientale