Giordano Tedoldi, Libero 18/7/2010, 18 luglio 2010
LA VISIONE DELLO SQUALO NEL TEVERE
Ieri un turista irlandese, William McGill, ha fotografato col cellulare la pinna di uno squalo. McGill non sta trascorrendo le sue vacanze in Australia o ai Caraibi, lui è un tipo che fa le vacanze intelligenti, e infatti si trova a Roma e la spaventosa pinna l’ha vista emergere dal Tevere.
«Stavo facendo fotografie sul fiume quando ho avvistato qualcosa di strano muoversi sull’acqua». Che cosa sarà? Mr. Ok, il tuffatore di capodanno che, rimbecillito dalla calura, si rinfresca? Un ex democristiano che rimpiange la stagione della Balena Bianca? Il venerato scrittore Raffaele La Capria che si esercita nel suo celebrato crawl? Il marziano a Roma di Flaiano?
No, era lo squaletto de’ Trastevere, con tanto di pinna svettante (in realtà molto simile alle pinne giocattolo che i personaggi dei cartoni animati si applicano sulla schiena) e il simpatico irlandese non s’è fatto sfuggire lo scoop e l’ha immortalato con il telefonino. Avrà pensato che, con una fotografia del genere, il premio internazionale del National Geographic per la foto naturalistica è garantito, anche se per essere sicuro gli consiglierei di cogliere pure qualche scatto del sarchiapone americano che, nelle prime ore del pomeriggio, passeggia sotto il colonnato del Bernini. Come dite? Che facciamo dell’ironia fuori luogo e siamo prevenuti? Macché, noi crediamo a McGill, lui lo squalo l’ha veramente visto.
Dopo la ventesima pinta, l’ha visto. Il fatto è che viviamo al tempo della bufala nell’epoca della sua riproducibilità digitale, e dunque le cose potrebbero essere andate così. Il simpatico turista irlandese dopo essersi scolato una confezione da dodici di Guinness ghiacciata a 50 gradi all’ombra si procura una mezza congestione, per qualche minuto si teme il peggio per via della conseguente riduzione dell’ossigeno al cervello. Comincia il momento delle visioni e la nausea. Trovandosi a spasso su Ponte Vittorio Emanuele II, si affaccia sul parapetto per liberarsi, ma improvvisamente vede la pinna. Si stropiccia gli occhi, tira un altro sorso di Guinness, e la pinna è sempre lì. Racconta l’episodio ma viene crudelmente preso in giro da parenti e amici (pare che in Irlanda dire di aver visto uno squalo nel Liffey, il fiume che attraversa Dublino, provochi l’immediata squalifica da tutti i tornei di freccette nei pub nel raggio di 30 chilometri) e allora decide di taroccare una fotografia scattata in precedenza, dove si vede un tratto del Tevere sotto il ponte, appiccicando con Photo-
shop la pinna dorsale nera che emerge dalle acque azzurre. Non vi convince questa ricostruzione? Be’, dovete ammettere che è almeno altrettanto plausibile dell’idea che il Tevere sia infestato dagli squali. Ieri le agenzie di stampa sembravano un programma di Licia Colò, dopo aver abboccato alla notizia, si dilungavano sulla distinzione tra squali d’acqua salata e d’acqua dolce, e poi via a rivangare la storia della balena nel Tamigi, lo squalo assassino dei canali di Amsterdam, tutto molto divertente per carità, mancavano solo i coccodrilli nelle fognature di New York e Godzilla che calpesta i ciliegi in fiore a Tokyo. Pazza, pazza estate romana, però a pensarci bene se ne potrebbe ricavare qualche attrattiva. Il sindaco potrebbe istituire una fantozziana caccia allo squalo, già li vediamo i giovani nostalgici di destra della brigata ”ammiraglio Birindelli” cacciare il predatore con sommergibili modello Decima Mas, mentre i giovani comunisti, nella formazione ”Generale Giap”, adotteranno senz’altro le gloriose tattiche dei pescatori del Vietnam del Nord. Male che vada tutto finirà in una colossale frittura di pantegane d’acqua dolce, che fino a prova contraria è il principale organismo che abita il Tevere.
Il tutto potrebbe venire ripreso da un cinematografaro romano, di questi che vincono David di Donatello o i Nastri d’Argento, e che poi vengono presi a pesci in faccia al botteghino.