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 2010  luglio 18 Domenica calendario

MUCHA L´ARTE DI DISEGNARE DONNE DA MANIFESTO

Parigi, vigilia di Natale 1894. Interno, studio tipografico. Fuori, nella "Città della Luce", impazza la Belle Epoque, una parentesi di lusso e sofisticata stravaganza, un mondo di architetture floreali, di teatri e tabarin, di scandali e pettegolezzi, di gigolo e vedove allegre, una società ricca e incosciente che danza sull´orlo del baratro. Nella tipografia, un giovane pittore povero guadagna pochi spiccioli correggendo prove di stampa, nonostante la notte di festa. A un certo punto squilla il telefono, probabilmente uno di quei lunghi aggeggi neri in cui si avvicina la cornetta all´orecchio. Questa comunicazione, di colpo, cambierà la vita del giovane artista. Sembra la trama di un´operetta, e invece è la storia di Alphonse Mucha, talentuoso pittore moravo che in quegli anni sbarcava il lunario a Parigi come illustratore, correttore, vignettista. Divideva uno studio a Montparnasse con Paul Gauguin, insieme pativano la fame e aspettavano tempi migliori.
Quella notte al telefono c´era un´infuriata Sarah Bernhardt, l´attrice tragica, idolo del pubblico parigino. La Divina non era soddisfatta del manifesto previsto per il suo prossimo spettacolo e, tempo una settimana, ne voleva uno nuovo, diverso. Così, su due piedi, il tipografo non aveva molta scelta e Mucha assunse l´incarico. Il risultato fu Gismonda. La diva non solo approvò il disegno, ma ne fu entusiasta. Sul campo, Moucha fu nominato pittore di fiducia, costumista, disegnatore di gioielli di scena; oggi diremmo creatore d´immagine. Gismonda, dramma ormai dimenticato, fu una delle icone dell´epoca, un primo passo verso la definizione di un tipo di donna e di un genere di campagna pubblicitaria. Seguirono molti altri ritratti per Bernhardt e moltissimi manifesti, quasi tutti sullo stesso modello: immagine verticale, lunga e sottile, posa sinuosa, fluire arioso di veli o capelli. Soprattutto, nella parte alta del disegno, una grande aureola, fatta di gioie, mosaici, fiori o merletti, una corona che circonda il capo del personaggio e fa convergere lo sguardo verso gli occhi magnetici della modella.
Non sono dettagli casuali. Sono suggerimenti che fanno parte di un linguaggio preciso e, per quel tempo, molto attuale. Mentre la società della Belle Epoque si diverte, tra Parigi e Vienna nascono la scienza dell´inconscio e la neurologia, si studia l´isteria, si sperimenta l´ipnosi. Alphonse Mucha era un seguace attento di questa nuova branca della medicina, e in particolare delle possibili corrispondenze che, grazie a essa, si potevano evidenziare tra sentimento, gestualità e suoni. Per documentare le sue ricerche in questo campo, si dedicò alla fotografia. Nello studio di Montparnasse, modelle preventivamente ipnotizzate assumevano pose particolari, suggerite da suoni o da brani musicali. Questi atteggiamenti - "Meditazione", "Potere", "Freddo", "Estasi" e così via - debitamente fotografati, prima di essere ripresi graficamente, venivano accostati alle pose classiche da accademia, che, invariabilmente, al confronto sembravano artificiose. Stranamente, quando questi studi furono pubblicati, attrassero anche l´attenzione di Kandinsky, il quale era però solo interessato all´idea che le vibrazioni musicali potessero in qualche modo generare forme pittoriche. Per Mucha, invece, si trattava della ricerca della resa autentica del gesto e della corrispondenza con il sentimento che lo ispirava. (Attraverso questo percorso si può seguire la mostra Alphonse Mucha: modernista e visionario che apre il 28 luglio a Forte di Bard in Valle d´Aosta e continua fino al 21 novembre).
Il sistema dell´ipnosi lasciò il segno. L´opera di Mucha offre un catalogo di sguardi vaghi, atteggiamenti sognanti, gesti sonnambulici e sonni catalettici, in breve di tutto il repertorio dell´isteria clinica. Se Mucha si può definire il pittore della donna nuova, nel linguaggio dell´Arte Nuova, questa donna è la Catatonica o l´Isterica, malattie che la medicina del tempo considerava tipicamente femminili. Linee grafiche e gestualità sottolineano questo aspetto della donna fin de siècle. Capigliature stravaganti si sviluppano in arabeschi talmente eccessivi da diventare astratti, circondando il soggetto con spire interpretabili come segni tangibili della sua sensibilità. E linee, sguardi, oggetti, aureole, perfino il formato, che obbliga a una innaturale inclinazione del capo, agiscono ipnoticamente sullo spettatore. Questa regia dello sguardo, guidato sapientemente lungo le curve del disegno, riporta all´opera di Guimard e di Horta, alla danza di Loïe Fuller, agli studi sulla fisiologia della percezione visiva e sulla graficizzazione del movimento oculare. Accentuando il carattere del tratto, intensificandone direzione e spessore, sistemando nello spazio disegnato parallelismi e divergenze, si può, attraverso i segni grafici, comunicare un messaggio.
Ma la linea curva, a colpo di frusta, voleva anche essere, nell´epoca dei fratelli Lumière, il segno del movimento e Mucha, con la fotografia oltre che con il disegno, tentò continuamente di rappresentarlo. Fu forse il fotografo più prolifico, vario e qualitativamente eccelso del suo tempo. Solo recentemente è stato riscoperto lo sterminato archivio dei suoi scatti. Sono istantanee, ritratti, paesaggi, studi di natura, di luci e ombre, motivi astratti, architetture, mercati, cerimonie religiose... Sono esperimenti all´avanguardia: sovrapposizioni di immagini, effetti flou, fotomontaggi, soggetti retro-illuminati. Aveva cominciato a fotografare prima di diventare famoso, ma con il successo l´attività fotografica si intensificò e diventò una sorta di diario intimo visivo.
Per la maggior parte le foto dovevano servire come documentazione per quello che egli considerava la sua opera più importante: le venti immense tele dell´Epopea slava, raffigurazione epica della storia millennaria dei popoli dell´Europa dell´Est. A questo lavoro Mucha dedicò gli ultimi trent´anni di vita. Abbandonata Parigi, dimenticata l´America in cui era inutilmente andato a cercare un successo tardivo, ormai fuori dai canoni della moda, tornò a Praga, e in una sorta di isolamento monastico, si dedicò al suo gigantesco progetto.
La sua esistenza era stata scandita, forse più che per tanti altri, dagli interventi del fato. Visse abbastanza a lungo per vedere la sua città invasa dall´esercito nazista. Il grande vecchio, icona nazionalista del popolo ceco, fu tra i primi a essere interrogato dalla Gestapo. Pochi giorni dopo morì.