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 2010  luglio 18 Domenica calendario

DEBITO NEMICO DELL’OCCUPAZIONE

Bene in Canada, in Australia, male negli Usa e in Europa. Cosa succede? Il mondo industrializzato esce dalla crisi in ordine sparso e le differenze tra le economie vengono amplificate nel loro aspetto più delicato e importante: il lavoro, che cresce in alcuni paesi ma langue dolorosamente in altri.
 una situazione inquietante. La sua prima spiegazione può però apparire banale. I mercati del lavoro si muovono sempre in ritardo (e non sempre in parallelo). Nel bene e nel male. I salari faticano a seguire la produttività - il liberista Luigi Einaudi dava ai sindacati proprio il compito di facilitare l’allineamento, senza andare oltre - e la creazione di posti segue a distanza la crescita. In Eurolandia, ha spiegato questa settimana la Banca centrale europea, l’occupazione è iniziata a calare nell’ultimo trimestre del 2008, mentre era in contrazione già dal secondo. E se il Pil è mediamente calato del 5% tra il massimo e il minimo del ciclo, il numero dei posti si è ridotto del 2,6 per cento.
Questo spiega molte cose. Australia e Canada (ma anche il Cile, malgrado il terremoto) sono stati trainati dalla domanda asiatica di materie prime, che ha dato i primi segni di ripresa molto presto rispetto ai paesi industrializzati. Altri paesi, invece, hanno ancora difficoltà sul fronte dell’attività economica, e questo si riflette drammaticamente sui mercati del lavoro.
La crisi del 2007 è stata però "a più dimensioni" e i fenomeni che ha prodotto non si lasciano rinchiudere in schemi troppo semplici. Proprio il caso del Canada mostra che il livello di attività economica non spiega tutto. Il paese nordamericano ha risentito - come sempre, ma questa volta in misura decisamente minore rispetto al passato - della debolezza del grande vicino, gli Stati Uniti. riuscito comunque a scongiurare il destino a cui sembrava condannato. E la maggior parte dei suoi posti di lavoro sono stati creati nei servizi, e non nel settore minerario come il traino asiatico farebbe pensare.
Qualcos’altro è quindi entrato in gioco: la finanza. Per assumere, le imprese devono essere solide, libere dall’onere di risanare i bilanci attraverso i profitti, e devono avere di fronte banche e consumatori in analoghe condizioni. Il Canada, che ha superato agevolmente la crisi bancaria, non ha dovuto compiere troppi sforzi. Negli Stati Uniti, come in Gran Bretagna, il settore privato è invece ancora indebitato (e quello pubblico pure). La solidità finanziaria ha fatto la differenza anche in Eurolandia, ma non da sola. La Germania, che pure non ha ancora girato l’angolo, ha perso molti meno posti di quanti la sua recessione avrebbe lasciato prevedere. qui entrato in gioco un altro fattore, quello istituzionale. Governo, aziende e sindacati hanno creato il kurzarbeit, un meccanismo che permette-con l’aiuto finanziario dello stato - di ridurre gli orari di lavoro nelle fasi negative del ciclo senza dover ricorrere ai licenziamenti. Il sistema ha funzionato - ha spiegato in uno studio Bernhard Gräf di Deutsche Bank - grazie al buono stato di salute delle imprese tedesche che hanno assorbito parte degli oneri.
L’esempio opposto è stato la Spagna. Sul debito delle famiglie si sa tutto. Il suo ordinamento giuridico - che rende costosi i licenziamenti - ha inoltre incentivato il ricorso ai contratti a termine fino a livelli estremi. Con la crisi, questi posti di lavoro non sono stati confermati moltiplicando i sussidi di disoccupazione, che a loro volta hanno pesato sui conti pubblici. , questo, un esempio macroscopico - come ha mostrato Axel Leijonhufvud, uno degli ultimi grandi economisti viventi - di quanto possa essere dannosa la flessibilità in un’economia finita «in territorio instabile» (e, in ogni caso, nel breve periodo). Ora la ripartenza sarà più difficile. un altro aspetto dell’economia di cui occorrerà tener conto in futuro.