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 2010  luglio 18 Domenica calendario

Di Vincenzo Arena 19 luglio 2010. Diciott’anni dall’attentato a Paolo Borsellino in Via D’Amelio

Di Vincenzo Arena 19 luglio 2010. Diciott’anni dall’attentato a Paolo Borsellino in Via D’Amelio. Per l’anniversario in programma numerose iniziative a Palermo. Il Movimento ”Agende Rosse” ha in calendario una tre giorni fitta di incontri e manifestazioni che si concluderà con il corteo, il 19 alle 18.00, diretto all’albero Borsellino proprio in Via D’Amelio. In programma anche una fiaccolata commemorativa promossa dalla Giovane Italia di Palermo, sempre il 19 luglio. Noi vogliamo ricordare Paolo Borsellino compiendo il nostro dovere, il dovere di informare e di stare ai fatti. A che punto è la verità sulle stragi di mafia del 1992-1993? O meglio… emergerà mai una verità su quegli eventi? L’inquetante premonizione di Borsellino… ”mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri (da L’agenda rossa di Paolo Borsellino)”… cadrà nel vuoto dell’odioso oblio d’italico sapore? Oppure sarà possibile illuminare finalmente le troppe zone d’ombra che nascondono le dinamiche di quegli anni, le responsabilità di terzi livelli coivolti? Il nostro dovere di giornalisti liberi e onesti è non far calare il silenzio su queste vicende. Ci piace ricordare così Paolo Borsellino e gli uomini della sua scorta. Lo facciamo approfondendo la coraggiosa relazione del sen. Giuseppe Pisanu I grandi delitti e le stragi di mafia 1992-93, presentata dal medesimo alla Commissione bicamerale antimafia il 30 giugno scorso e pubblicata dal Fatto Quotidiano. Un’analisi lucida che squarcia il velo dell’ipocrisia sulle collusioni, le connivenze, le responsabilità di parti della classe dirigente di quegli anni (e forse su una parte della classe dirigente di questi anni) sull’attacco di Cosa Nostra alle Istituzioni. Un attacco con una regia più ampia e raffinata? Non è dato saperlo ancora a pieno. Noi certo contiueremo a parlarne, a fare il nostro dovere fino a che non sentiremo sotto le nostre narici, pieno e forte, ”il fresco profumo di libertà”. Perchè il compromesso morale è inaccettabile. Perchè questa ”Terra, bellissima e disgraziata” merita di sapere. La relazione di Pisanu parte dal fallito attentato a Falcone all’Addaura, inserendolo in un quadro di responsabilità diffuse e trasversali in capo a mafia, servizi segreti deviati e pezzi deviati delle forze dell’ordine. Poi c’è l’omicidio di Salvo Lima, potente luogotenente DC in Sicilia e ”traditore” dell’Organizzazione cui non aveva assicurato protezione e tutela in occasione del maxi-processo di Palermo. Ancora, la strage di Capaci: Le responsabilità del reato di strage sono state chiaramente accertate ed ascritte ai vertici di ”Cosa Nostra”. In particolare è stata affermata la responsabilità sia della ”Commissione regionale” sia della ”Commissione provinciale di Palermo”, e ciò in applicazione del cosiddetto ”teorema Buscetta”, secondo il quale sussiste la piena condivisione dei delitti eccellenti, in quanto essi corrispondono alla realizzazione e alla tutela degli interessi vitali dell’organizzazione[1]. Tuttavia, continua Pisanu: (…) nonostante le solide verità processuali, resta da chiedersi, (…) perchè mai Cosa Nostra abbia rinunziato al tentativo di assassinare facilmente il Dott. Falcone a Roma e abbia invece preferito la soluzione assai più complessa e rischiosa di Capaci. Si trattò soltanto di una ostentazione di potenza militare? O ci furono altre motivazioni, come, per esempio, induce a ritenere la sparizione dei files dal computer del Dott. Falcone presso il Ministero di Grazia e Giustizia?[2] Quesiti ancora senza risposte certe, purtroppo. Risposte che paiono forse assumere contorni leggermente più definiti nell’analisi che la relazione fa in merito alla strage di Via D’Amelio. Esecutori e mandanti militari sembrano essere stati tutti individuati, processati e condannati. Emergerebbe un ruolo centrale dei fratelli Graviano nell’organizzazione dell’attentato, fortemente voluto da Riina e che avrebbe avuto come movente non solo l’eliminazione di un pericoloso nemico di Cosa Nostra, ma soprattutto l’eliminazione di un giudice che stava indagando su Capaci e sulle dinamiche opache - coinvolgenti politici, servizi segreti e forze dell’ordine - striscianti ”dietro Capaci”. Non a caso l’agenda rossa del giudice, sul quale Borsellino avrebbe appuntato anche informazioni, collegamenti e dati inerenti l’attentato a Falcone, non è stata più rinvenuta. Pisanu solleva più di un dubbio sui depistaggi e le ”forzature” intervenute nelle indagini su Via D’Amelio: Le prime indagini su Via D’Amelio avrebbero subìto rilevanti forzature anche ad opera di funzionari della Polizia di Stato legati ai Servizi Segreti. Ora è legittimo chiedersi se tali forzature nacquero dall’ansia degli investigatori di dare una risposta appagante all’opinione pubblica sconvolta o se invece nacquero da un deliberato proposito di depistaggio. Non ci sono, almeno per ora, risposte documentate.[3] Altre domande senza responso. Tuttavia la trattativa mafia-Stato nell’intera relazione è riconosciuta come credibile, documentata da intercettazioni e testimonianze. In particolare quelle del pentito Spatuzza e di Ciancimino jr. Pisanu precisa: Sulla strage di Via D’Amelio e sugli sviluppi successivi, la ”trattativa” ebbe un impatto rilevante. Non è facile misurarne la portata a causa della segretezza delle indagini in corso. Come è noto, essa si sarebbe svolta tra l’allora Colonnello di CC Mario Mori e il suo collaboratore Capitano Giuseppe De Donno, da un lato, e l’ex Sindaco di Palermo Vito Ciancimino, dall’altro. Secondo l’opinione prevalente il primo contatto fu stabilito nello spazio di tempo compreso tra la strage di Capaci e quella di Via D’Amelio e si protrasse fino al dicembre del 1992, praticamente fino alla vigilia dell’arresto di Riina avvenuto il 16 gennaio successivo. Di questi contatti - che nelle loro intenzioni costituivano un’ardita operazione investigativa - i due ufficiali informarono alcune Autorità politico-istituzionali. Secondo l’ipotesi accusatoria invece essi intavolavano un vero e proprio negoziato in virtù del quale ”Cosa Nostra” poneva fine alle stragi e otteneva, in cambio, provvedimenti favorevoli all’organizzazione.[4] Ecco rispuntare il papello. Richieste evase in larga parte dalla politica sia dopo Capaci sia dopo Via D’Amelio. E Cosa nostra alza prepotentemente il tiro, vuole che il papello sia rispettato, abolito il 41 bis, placate le azioni preventive e repressive. La mafia alza il tiro probabilmente con la collaborazione e la connivenza di pezzi deviati dello Stato: sette operazioni stragiste dal 14 maggio 1993 al 14 aprile 1994, tutte mirate a colpire simboli, a lanciare messaggi diretti a chi aveva tradito e troppo sfidato. L’ordigno in Via Fauro a Roma contro l’autovettura del giornalista Maurizio Costanzo, l’esplosione a Via Dei Georgofili a Firenze, quella contro il Padiglione d’arte contemporanea a Milano, gli attentati romani a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro, l’ordigno inesploso nei pressi dell’Olimpico nella zona in cui transitano i mezzi dei carabinieri alla fine delle manifestazioni sportive, l’esplosivo rinvenuto in Via Formellese a Roma nei pressi dell’abitazione del pentito Salvatore Contorno. Osserva Pisanu: (…) l’esplosivo impiegato da Via Fauro in poi è lo stesso di Via D’Amelio: il plastico ”T4 o pentrite”. Prodotto in Austria, Regno Unito, Svezia e Stati Uniti, il ”T4″ è fuori commercio in Italia e lo hanno in dotazione soltanto le nostre Forze Armate. Cosa Nostra ne disponeva in grandi quantità (…)[5] Una riflessione agghiacciante che Pisanu rafforza nelle conclusioni della relazione sostenendo che sia (…) ragionevole ipotizzare che nella stagione dei grandi delitti e delle stragi si sia verificata una convergenza di interessi tra Cosa Nostra, altre organizzazioni criminali, logge massoniche segrete, pezzi deviati delle istituzioni, mondo degli affari e della politica. Questa attitudine a entrare in combinazioni diverse è nella storia della mafia e, soprattutto è nella natura stessa della Borghesia mafiosa.[6] Nelle trattative sarebbero quindi entrati soggetti diversi, dotati tutti di sostanzioso ”potere contrattuale”: mafiosi, politici, massoni, servizi segreti, eccetera. E dopo la trattativa, finita male a quanto pare, vista la reazione decisa dello Stato ”sano”, Cosa Nostra sarebbe partita alla ricerca di interlocutori politici nuovi. Siamo al 1994: Tangentopoli ha azzerato il tradizionale sistema dei partiti, i vecchi referenti politici si sono inabissati. Provenzano porta l’Organizzazione all’immersione e invita i suoi a guardarsi attorno, ad individuare nuovi colletti bianchi e nuovi politici influenzabili. Tuttavia, con il nuovo corso, non vi è più la pretesa folle di porsi da pari a pari con lo Stato. Certo la mafia siciliana non ha rinunciato alla politica. Pisanu: ”Cosa Nostra” faticava a orientarsi e a costruire nuove alleanze in un contesto politico che, dopo la caduta del muro di Berlino, si stava ormai disgregando sotto i colpi di tangentopoli e quelli delle stesse stragi. Tanto è vero che cercò una soluzione, costruendosi un proprio partito regionale, ”Sicilia Libera”[7], che avrebbe poi cercato di spendere sulla scena politica nazionale, ancora troppo confusa ed incerta.[8] Nella prospettiva della ricerca di nuovi referenti politici si inserirebbero i contatti fra mafia e la nascente Forza Italia che avrebbero avuto come mediatore il senatore Marcello Dell’Utri. Il ruolo di Dell’Utri emergerebbe sia nel procedimento contro Mori sia nel procedimento contro il senatore medesimo. Ciancimino jr, testimone nel processo Mori, riconferma i contatti fra suo padre Vito, Mangano e i vertici di Cosa nostra. Anche su queste vicende i punti chiari e incontrovertibili sono davvero pochi. Di definitiva c’è una sentenza di primo e secondo grado che ha condannato Dell’Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, ma solo per fatti precedenti al 1992. Pisanu pone invece l’accento sulla dinamicità di Cosa Nostra a metà Novanta nella ricerca di politici amici. Ricerca non limitata a una parte politica piuttosto che ad un’altra, centrata sulla penetrazione in quei gangli di potere politico-amministrativo necessari al rifiorire degli affari, nell’ambito degli appalti e delle concessioni, di Cosa Nostra. A questo proposito la relazione di Giuseppe Pisanu conclude che la mafia siciliana in quel momento storico ”(…) ha sentito sempre più il bisogno di proteggere i suoi affari e i suoi uomini. Specialmente con gli strumenti della politica comunale, regionale, nazionale ed europea”[9]. Una mano lava l’altra. La mafia e la politica oggi più di ieri intrecciate. Oggi ancor più sotterraneo e difficile da intercettare (specie se sarà possibile pienamente intercettare d’ora in poi) il rapporto fra la criminalità organizzata e le mele marce del panorama politico. Un panorama appetibile ai mafiosi sprattutto a livello locale ormai. Vittime o complici rischiano di essere amministrazioni comunali, provinciali, regionali, enti pubblici o strutture amministrative di qualsiasi colore politico e con qualsiasi tipo di composizione. Ecco perchè è necessario risollevare il tema di una nuova e forte questione morale. Non sono sufficienti le indagini, le inchieste, l’operato della magistratura contro le mafie. La lotta alla mafia è eminentemente una battaglia culturale. Non è sufficiente che il politico non abbia condanne ascrivibili a specifiche fattispeie di reato. Non deve manco essere vicino ad un mafioso. Non è l’assoluzione (o addirittura la prescrizione) a potergli conferire patente di onestà e eticità. Forse le parole di Paolo Borsellino lo spiegano meglio: ”L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato quindi quel politico è un uomo onesto. E no, questo discorso non va perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire, beh, ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però siccome dalle indagini sono emersi altri fatti del genere altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato quindi è un uomo onesto. Il sospetto dovrebbe indurre soprattutto i partiti politici quantomeno a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti anche se non costituenti reati. (dalla lezione del 26 gennaio 1989 all’Istituto Tecnico Professionale di Bassano del Grappa)” Ogni commento è inutile. Vi invitiamo a prestar attenzione alla data di queste riflessioni: 1989. Attualissime… purtroppo! Più di un politico ”di casa nostra” dovrebbe far ricorso alla propria coscienza… se riuscisse a trovarla, certo! [1]Pisanu, Giuseppe, I grandi delitti e le stragi di mafia 1992-93, Relazione del presidente alla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, 30 giugno, cit. pp. 11-12 [2]Ibidem [3]Ivi, pp. 15-16 [4]Ivi, pp. 16-17 [5]Ivi, p. 22 [6]Ivi, p. 26 [7]’Sicilia libera” è stato un partito politico italiano. Nasce nel settembre del 1993 con la stessa idea di indipendentismo della Lega Nord applicata al meridione. Secondo alcune carte processuali questo partito era strettamente legato a Cosa nostra e alla massoneria . A fondarlo è Leoluca Bagarella con il consenso di Totò Riina. La mafia siciliana dopo tangentopoli aveva perso molti referenti politici, per questo motivo decide di scendere in campo direttamente. (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Sicilia_libera) [8]Pisanu, Giuseppe, I grandi delitti e le stragi di mafia 1992-93, cit. p. 34 [9]Ivi, p. 35