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 2010  luglio 17 Sabato calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 25 - UNO YUPPIE A PARIGI

Il conte di Cavour era felice?
Il conte di Cavour era eccitato. Anzi: vediamo qui per la prima volta un conte di Cavour febbricitante, preda di una delle sue grandi qualità, l’imprudenza, non temperata ancora dall’altra sua grande qualità, la prudenza. Quando sta a Torino, passa le notti a far su e giù in camera sua, tenendo sveglia la madre al piano di sotto. Eccolo che si frega le mani oppure salta addosso a qualcuno che ha sbagliato una parola. I genitori vorrebbero parlargli, ma lui è già in viaggio per Delfinato, Franca Contea e poi Parigi. Qui ha dato in affitto il palazzo Clermont-Tonnerre di rue de Grenelle, che la zia Vittoria non si può più permettere, e ha preso per sé il primo piano dell’Hôtel Mirabeau in rue de la Paix. Gira, tutto profumato di sandalo, facendo roteare un bastoncino. Appena può, va in rue Jacquelet e con 13 franchi e 50 prende in affitto la carrozza col groom. Gode quando il groom, compreso nel prezzo, balza a terra e grida: "Les gens de monsieur Cavour!". Boigne gli presenta una ballerina, amica sua, e si vanta che gli costa centomila franchi l’anno. All’Opéra Musard suona il can-can, appena inventato da Alton-Shée. Al Cafè de Paris, dove lord Seymour e il marchese di Hallays, in qualunque parte del mondo siano, si fanno tenere sempre un tavolo apparecchiato, il conte Martini di Cigala gli presenta una quantità di persone dall’aria allegra, a prima vista soprattutto donnaioli, mezzo artisti e mezzo scellerati, gente per la quale i parigini, incapaci alla fine di distinguere tra deboscia e spiritualità, hanno coniato l’espressione jeunesse dorée, era quella forse la prima volta che si distinguevano, nel turbine colorato della classe agiata, i «giovani» come corpo misteriosamente distante, i giovani (quei giovani) detti con invidia e ammirazione lions e subito riconoscibili per la pelle fresca e l’aria sprezzante, disillusa, cupamente appagata di una pretesa solitudine. La principessa di Belgioioso, appena trasferita in rue d’Anjou, che riceve in un salotto tappezzato di nero, il resto della casa bianco, in anticamera - per far contrasto col bianco - un negro col turbante, lei allampanata e strafatta di stramonio...
A Cavour piaceva tutto questo?
Cavour aveva da risollevarsi dalla sua condizione di ragioniere e giudicò la Belgioioso una cretina. Andò a mangiare in un ristorante da due franchi e gli venne il mal di stomaco. Spiegò allora, ai parenti di Torino, che non avrebbe più potuto fare a meno delle ostriche di Rocher et Cancale o degli antipasti di tartufo di Véret, mi si dia un tavolo da Les Frères-provençaux, da Véfour, da Chevret, da Corcellet, mi si lasci mangiare con gusto la cotoletta di Dumas al Café Hardi, dove, infilati in uno spiedo d’argento, si fanno arrostire in un enorme caminetto di marmo tre pezzi di carne legati insieme, si buttano poi via quello di sopra e quello di sotto, e si serve quello di mezzo, tre volte gonfio di sangue. Andò a farsi i guanti da Lebulie e gli abiti da Moos. Moos che si permette di abitare al primo piano, e bisogna vedere che casa, mobili, il pianoforte. Moos, con quella faccia da contadino rossa e rincagnata, e però la figlia è già una perfetta parigina cinguettante, perfettamente integrata, perfettamente inurbata…
Lo spiantato Cavour poteva permettersi un tenore di vita simile?
La zia gli aveva aperto un conto da Blanc et Collin. Questo era parte decisiva dell’eccitazione.
Conto illimitato?
In teoria serviva per affrontare gli studi legali e sistemare gli affari di Delfinato e Franca Contea. Blanc et Collin mandavano regolarmente i rendiconti a Torino
La zia non s’accorgeva di niente?
La zia era completamente scimunita. Su vestiti e ristoranti a casa chiudevano un occhio… Il problema esisteva casomai per i prelievi che non avevano giustificazione. Michele s’accorse che nei rendiconti di Blanc et Collin c’erano buchi e a un certo punto erano stati prelevati, non si sa perché, addirittura 50 mila franchi.
Il gioco!
Cavour andava a Chantilly a puntare sui cavalli e doveva tenersi all’altezza di gente come il principe della Moscowa o lord Seymour. C’era poi il Jockey Club, all’angolo tra la rue Grange-Batelière e Montmartre, secondo piano, proprio sopra l’insegna del venditore di pianoforti. Si cominciava alle sette di sera, si andava avanti fino a mattino. Cavour era capace di stare quattordici ore con le carte in mano. Tavoli formati dal principe Galitzin, Paul Daru, La Valette, Potter, Tiron, David, Walewski. Qualche volta Alton-Shée, Belgioioso o Latour-Mezeroy, con la sua camelia perennemente all’occhiello. La cucina restava aperta tutta la notte, non smettevano neanche per mangiare. Una volta il conte - molto forte a whist - perse invece 2.200 franchi, cadde poi in una specie di coma durato dieci ore, e pagò senza attingere al conto, ma facendosi mandare i soldi da Gustavo. Sperava che a casa non capissero. Un’altra volta ne vinse 60 mila, la sera dopo il circolo era tutto alle sue spalle per vedere se li avrebbe mantenuti. Ne perse 30 mila.