Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 17/07/2010, 17 luglio 2010
INTERCETTARE NECESSARIO MA C’ MODO E MODO
La proposta di legge sulle intercettazioni continua a tenere banco, malgrado la priorità della crisi economica. A parere di molti, per eliminare un uso esagerato e spregiudicato delle intercettazioni da parte dei giornali, si è intervenuti a gamba tesa sulle capacità investigative della magistratura e delle forze dell’ordine, mettendo a rischio i buoni risultati raggiunti in questi ultimi tempi. Ciò succede, a mio parere, perché il governo non dovrebbe essere parte proponente ma solo parte garante della efficacia e della equità delle leggi che toccano equilibri istituzionali, i cui contenuti dovrebbero essere elaborati da una Commissione di saggi non schierati politicamente e nominati dal Parlamento.
Angelo Tirelli
antirelli@tiscali.it
Caro Tirelli, il ricorso ai «saggi» può servire in alcuni casi. Ma una democrazia che se ne serve troppo frequentemente, o addirittura delega a una «camera dei saggi» alcune competenze del Parlamento, rischia di apparire malata e screditata. vero, tuttavia, che il nodo delle intercettazioni è molto imbrogliato. La magistratura non ha torto quando sostiene che la legge finirebbe per ingabbiare le indagini in una rete di norme troppo restrittive. I giornalisti non hanno torto quando sostengono che saranno meno liberi di scoperchiare le pentole della Repubblica. Il governo (indipendentemente dalle sue reali intenzioni) non ha torto quando sostiene che l’uso sproporzionato delle intercettazioni ha fatto strame della vita privata di parecchie migliaia di italiani. E molti osservatori intelligenti, infine, non hanno torto quando dicono che la legge è troppo complicata e finirà nell’immenso deposito delle leggi non applicabili.
Esiste una via d’uscita? Occorre partire da due punti complementari e apparentemente inconciliabili. Primo: le intercettazioni sono necessarie alle indagini. Secondo: quelle italiane passano per troppe mani (procuratori, giudici, cancellieri, carabinieri, polizia, avvocati difensori) per restare lungamente confidenziali. Ho scritto «apparentemente inconciliabili» perché nel diritto italiano esistono anche intercettazioni che restano in cassaforte e non finiscono sui giornali. Come ricorda Carlo Nordio, sostituto procuratore di Venezia, «dopo l’attentato dell’11 settembre è stato modificato l’art. 226 delle norme di coordinamento del Codice di procedura penale, e sono state introdotte le intercettazioni preventive. Esse sono disposte dal Pubblico ministero (non dal giudice per le indagini preliminari) quando siano necessarie per l’acquisizione di notizie concernenti la prevenzione di alcuni gravissimi delitti». Restano in cassaforte perché sono conosciute da poche persone e il nome del divulgatore verrebbe facilmente scoperto. Perché, chiede Nordio, non adottiamo questa disciplina per tutti i reati e lasciamo all’inquirente in tal modo tutta la libertà di cui ha bisogno per le sue indagini? vero che queste intercettazioni, a differenza delle altre, non possono essere usate come prove. Ma contengono indizi e informazioni che permetteranno all’inquirente di andare a cercare le prove là dove verosimilmente sarà possibile trovarle.
A me sembra che questa proposta, se accolta, presenterebbe, oltre al vantaggio della confidenzialità, quello di provocare un ritorno alle indagini. Temo che i procuratori in questi anni abbiano preferito intercettare piuttosto che fare il faticoso e logorante mestiere del segugio. accaduto alla magistratura italiana, in altre parole, quello che è accaduto alla Cia quando scelse di puntare sull’intelligence elettronica piuttosto che su quella «umana». Quando si è accorta di avere imboccato la strada sbagliata, è «tornata all’uomo». una lezione su cui i procuratori italiani dovrebbero riflettere.
Sergio Romano