Goffredo Buccini, Corriere della Sera 17/07/2010, 17 luglio 2010
IN SARDEGNA PDL DILANIATO. I MISTERIOSI INTRECCI TRA APPALTI E FESTE IN VILLA
Ammettiamolo, la voce è roca di rancore: «La prima vittima della cricca, qua, sono io! Berlusconi mi aveva promesso: farai il presidente della Provincia. I sondaggi erano con me. Mi hanno fatto fuori Verdini e Scajola, perché l’eolico poteva essere anche materia provinciale e, se facevo io il presidente, non mi controllavano di sicuro». Gli steccati sono tutti saltati se persino un fido forzista come Piergiorgio Massidda, benemerito chirurgo che cancellava con acconce dosi di botulino le rughe ai colleghi azzurri della Camera, non si trattiene più: «Silvio è sceso da noi a tre giorni dal voto per farmi fare marcia indietro: "siamo amici, Piergiorgio, ti nomino sottosegretario". Ma ho capito che mi prendevano in giro, mi sono candidato da solo e gli ho rovinato le elezioni». Detto e fatto, il buon Piergiorgio ha tolto ai suoi ex amici quel dieci per cento che li avrebbe salvati dal disastro alle provinciali del mese scorso.
Perché tira davvero una brutta aria, nella Cagliari del Pdl che Ugo Cappellacci aveva giurato di rilanciare dal palco, accanto al Cavaliere, prima delle regionali che nel febbraio 2009 avrebbero sfrattato l’odiato Soru e consegnato la Sardegna al neo-berlusconismo. L’ombra della cricca s’allunga su tutti i muri, la P3 dei «vecchietti sfigati» sta diventando la spiegazione ossessiva di ogni intrallazzo, guaio, fallimento. Il governatore indagato sta fino a sera tarda davanti ai pm romani a spiegare i perché e i percome di un paio di delibere ballerine, di quel valzer di telefonate e incontri attorno al vecchio Flavio Carboni che gli aveva imposto un funzionario senza qualità, Ignazio Farris, in un posto strategico come l’agenzia ambientale Arpas («nessun atto della mia giunta è mai andato contro l’interesse dei sardi, l’unico che mi sta davvero a cuore»). E intanto qui il vento forte e rovente non farà girare le quattrocento pale eoliche che Carboni sognava di ottenere a spinte e ricatti, ma di sicuro ha scombinato gli ultimi equilibri di un’isola dove l’avversione politica si mescola a identità di clan, odi familiari, ragioni vecchie come i nuraghi che nessuno più ricorda e che però ci sono.
Un po’ come Carboni, detto Salamandra per avere attraversato 28 processi e mille storie, come quelle di Gelli, di Pippo Calò e della banda della Magliana, beccandosi solo una condanna definitiva per il crac dell’Ambrosiano e riuscendo a non comparire nemmeno nelle liste della P2 («l’unico reddito certo di questo signore’ scherza un investigatore – sono i soldi che si fa ogni volta che querela i giornali quando scrivono che era piduista»). «Flavietto», il vecchio ragazzo di Torralba cresciuto da portaborse nella corrente di Giovanni Pitzalis, andreottiano ante litteram, è uno di quei tipi che nessuno ricorda mai, eppure qui in Sardegna si è infilato negli affari del principe Caracciolo ed è diventato il sensale del faraonico sogno berlusconiano di Olbia Due, mica bruscolini. «Sono rimasto sbalordito, nemmeno me l’immaginavo che contasse qualcosa», giura Ignazio Artizzu, consigliere regionale e coordinatore provinciale Pdl. E Artizzu non è uno che rimuove, è un finiano tosto: «Sono preoccupato, la gente non ci capisce più. Certo, Cappellacci ha sbagliato frequentazioni».
Già, in fondo questa delle frequentazioni è una storia semplice: la storia di un gomitolo e di un filo. Il filo è Cappellacci, che i nemici interni cominciano a bollare come «il signor nessuno» non avendo ancora digerito la folgorazione che nel 2009 portò Berlusconi e il suo gran consigliere Romano Comincioli a scegliere proprio lui per la corona di governatore sardo (i più malevoli arrivando addirittura a sospettare che la scelta fosse influenzata da una parentela: Ugo è figlio di Giuseppe, il commercialista che s’è occupato degli affari più delicati del Cavaliere da queste parti). Un giorno i pm tirano quel filo e acchiappano un gomitolo dentro cui potrebbero esserci i famosi «vecchietti sfigati» oppure l’ennesima ballata di un potere ormai degenerato. Una trama in cui passato e presente giocano a rimpiattino. Carboni, per dire, porta nell’81 Roberto Calvi, reduce da un primo arresto per grane valutarie, a ritemprarsi a villa Monastero, sul mare di Porto Rotondo, tra i bravi figlioli della Magliana. Anni dopo, farà comprare quella villa a Paolo Berlusconi. Comoda, a trecento metri dalla Villa Certosa di Silvio, sull’asse godereccio celebrato dai rotocalchi di gossip. Qualche estate fa la prende in affitto per la stagione Davide Cincotti, il nababbo del cellophane con ditta a Battipaglia, alla modica cifra di trecentomila euro. Chiaro che se la goda. Tra gli amici che invita, ecco Ernesto Sica, sindaco di Pontecagnano e suo disinvolto giovanotto di manovra. Da una villa all’altra il passo è breve, l’appuntamento col destino è praticamente dietro la siepe. Sica viene introdotto a Berlusconi: «Ho avuto l’onore di essere ospite della sua villa, ho conquistato Silvio parlando di politica». Figuriamoci, con tutte le belle ragazze che di sicuro s’era portato appresso... «Macché, niente donne!, stavamo soli, io e Silvio, a parlare di partito popolare europeo». E qui il nostro filo riannoda le trame sarde a quella napoletane, perché il giovanotto diventerà famoso in questi giorni: è il Cagliostro che fabbrica il dossier su Stefano Caldoro. I carabinieri lo intercettano mentre racconta di avere minacciato Verdini perché sognava di diventare lui stesso presidente della Regione Campania: «Racconto tutto, dall’agosto 2007 in poi, ditelo al Presidente! Berlusconi può fare tutto. Io non sono come la puttana di Bari». Che voleva dire? «Che Berlusconi nell’agosto 2007 mi aveva promesso di lanciarmi in politica», è la straordinaria spiegazione: «Il tempo passava e nessuno mi offriva un incarico alla mia altezza... se avessi detto che Berlusconi non manteneva la parola data...». Già, chissà che danno.
Goffredo Buccini