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 2010  luglio 17 Sabato calendario

L’ANTICA ROMA E L’INDIA IN UNA CERERIA PONTIFICIA

«Durante i lavori di restauro, a un certo punto Giorgio si è reso conto che aveva fatto riapparire la casa romana». Gaia Ceriana, moglie del celebre collezionista d’arte Giorgio Franchetti e regista di film sull’India (l’ultimo si intitola «Iaco’s Tale» ed è in concorso al festival di Locarno), racconta come dalla Pontificia Cereria Pisoni, fondata nel 1821, è nata un’abitazione simile a quelle di un paio di millenni fa. Nascosta nel cuore di Trastevere da un muro che costeggia la strada e da un portone di ferro, riserva agli ospiti la sorpresa di un atrio con il tetto a falde spioventi, intorno al quale si sviluppa tutta la casa e si affacciano le stanze di soggiorno e di servizio. Al centro dell’atrio, l’impluvium, ovvero la vasca che una volta raccoglieva l’acqua piovana e che qui è alimentata da una sorgente sotterranea. Il peristilio, con cinque colonne antiche in marmo cipollino, abbraccia il giardino ricco di essenze mediterranee, con due grandi lecci che rinfrescano le giornate d’estate. Intorno, cespugli di mirto, rosmarino, rose e viti di uva fragola che si arrampicano fin sulle terrazze del primo piano.
«L’abbiamo acquistata nel 1987, quando era ancora attiva la fabbrica di candele», racconta Gaia. Indica il lungo tavolo in marmo, con i segni profondi lasciati dal taglio dei ceri. Il portico era coperto di lamiera ondulata, ma esistevano già le grandi vetrate in ferro che ora danno luce al salotto e, al piano superiore, allo studio della padrona di casa. Gli interni sono stati restaurati con materiali di recupero e sembrano lì da sempre, come il cotto giallo e rosso del salotto, il camino in pietra, le vecchie travi di legno. Le tavole di un soffitto a cassettoni sono decorate con gli stessi motivi dei frammenti di marmo antico riportati alla luce dagli operai mentre scavavano per creare le intercapedini di deumidificazione. «Le ha dipinte Marion, la figlia di Giorgio, che a quel tempo frequentava la scuola per finti marmi e trompe-l’oeil di Bruxelles».
Il cantiere è andato avanti per tre anni. «Ma Giorgio era infaticabile. Aveva la passione del restauro. L’aveva scoperta dopo la guerra, dove aveva combattuto come pilota nel Quarto stormo. Cominciò recuperando
i residui bellici per uso civile, trasformando i carrarmati in caterpillar. Poi passò alle motociclette e alle auto d’epoca. Negli anni Sessanta, con il gallerista Plinio De Martiis, suo socio alla "Tartaruga", si mette a cercare il borgo ideale, lo trova a San Casciano dei Bagni e inizia a restaurare poderi che poi faceva comprare agli artisti, col patto che non li trasformassero in villette. Era talmente fissato che di notte andava con il Boni, il muratore, a riparare i tetti dei poderi abbandonati, per paura che crollassero, facendo infuriare i proprietari».
In quegli anni Gaia attraversava il continente indiano girando documentari. «Il mio primo viaggio risale al 1975. Avevo poco più di vent’anni. Quando tornai, con un filmato sulle culture tibetane, mio padre mi consegnò un manoscritto di settecento pagine e scoprii che nel 1877 i miei bisnonni, Mario e Giulio Grazioli Lante della Rovere, avevano compiuto il mio stesso percorso. Cinque anni di caccia e di feste nei palazzi dei maraja, raccontati nelle infinite storie di questo diario scritto da Giulio e illustrato dai disegni di Mario. All’improvviso ho capito da dove provenivano tutte quelle corna di bufali di Assam, che riempivano le stanze della casa a Buonconvento, dove sono nata». Diventa presidente dell’associazione Italia-India e organizza mostre nei due paesi. Si innamora delle stoffe che ancora vengono tessute a mano e alla fine ne raccoglie talmente tante che nel 1995 apre a Roma un emporio per venderle come arredi. «Volevo far conoscere la bellezza di questi tessuti in Italia e al tempo stesso offrire una possibilità di lavoro alla gente dei villaggi, in alternativa alla povertà che li aspettava con il trasferimento nelle grandi città». Chiama l’emporio Indoroman, «unendo le due storie che avevano nutrito la mia identità». Aveva sposato Giorgio Franchetti nel 1984. «Ristrutturando questa casa ho scoperto istintivamente che le nostre radici e anche quelle degli antichi romani provengono dall’India». Le due colonne in legno decorato, che ha trasportato fin qui dal Kerala per sorreggere il soppalco del suo studio, assomigliano a quelle della Villa delle Colonne a ritrovata a Pompei.
Lauretta Colonnelli