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 2010  luglio 17 Sabato calendario

NUDO SICILIANO

come se la New York di Bernardo Siciliano avesse perso il sole. Cinque anni fa, nella bella mostra allestita al Chiostro del Bramante, dove l’artista presentava grandi olii con le vedute urbane di New York e Roma, gli scorci della metropoli americana apparivano illuminati da verdi brillanti, da rossi e ocra infuocati. Nella nuova esposizione, curata da Maria Ida Gaeta per gli spazi del Macro a Testaccio, Siciliano ha cambiato tavolozza. I grattacieli, i ponti, le strade profonde come canyon tra i palazzi, le acque dell’East River che ondeggiano così lente da apparire quasi stagnanti, perfino le rare presenze di vegetazione, sono tutti intrisi di tinte scure e opache, come una sinfonia arrochita di bruni e blu inchiostro e bianchi sporchi. Lo scrittore Alessandro Piperno, che è andato a trovare l’artista nel suo studio newyorchese, racconta che anche lo studio è immerso in questa atmosfera scolorita: «Un posto come te lo immagini: spoglio, severo, impolverato, profumato di vernici, disseminato di tele e pennelli, immerso in una luce oscillante tra il beige e il grigio tenue.
«Mi piacerebbe dipingere macchine come Courbet dipingeva alberi» ha detto una volta Siciliano. Di fatto ha cominciato a dipingere le sue grandi tele come faceva Canaletto per le vedute di più ampio respiro: tracciando prima di tutto con il carboncino un fitto reticolato che traspare in seguito anche da sotto il colore e fa capire quanto la sua tecnica sia simile a quella meticolosa dei pittori d’altri tempi. Tuttavia, mentre nei quadri di Canaletto passeggiano amabilmente i gentiluomini del tempo, le tele di Siciliano sono disabitate. Ci sono automobili parcheggiate ai lati delle strade, ma la presenza umana è totalmente assente. Eppure, come cinque anni fa, le finestre vuote delle case dipinte da Siciliano chissà perché fremono di vite vissute intensamente e in segreto. L’artista deve aver sentito l’attrazione dello spettatore per quelle finestre, la curiosità che lo spinge a immaginare quali storie si svolgano dietro i vetri, quale specie vivente trascorra i suoi giorni nelle tane scavate all’interno di queste enormi scatole verticali. E ha deciso non solo di farci vedere questi abitanti, ma addirittura di mostrarceli nudi. O meglio, nude, perché si tratta per la maggior parte di donne. E mentre le vedute della città sono anonime, «senza titolo», le donne si presentano con il loro nome, Janelle, Samera, Fabia, Carolina, Marina, Nicole, Jackie. In piedi o sedute, con le gambe sempre aperte ad esporre con sfrontatezza provocatoria la macchia nera del sesso, lo sguardo fisso nel tuo che stai guardando, come in una sfida. Una sfilata di femmine molto, ma molto irritate, come se averle stanate dai loro rifugi le avesse fatte infuriare per l’eternità.
Perché questi nudi sono così eversivi? Se lo chiede Lea Mattarella nel catalogo edito da Silvana Editoriale. E si risponde: «Sicuramente perché sono dipinti è già questo li rende estranei, diversi da quelli a cui il nostro sguardo ormai si è abituato. Alla fine dell’Ottocento avrebbe stupito uno scatto nudo e non certamente un quadro, oggi succede il contrario».
Ma non basta. C’è da dire anche che queste donne sono più grandi che nella realtà, sono delle gigantesse infuriate emesse una accanto all’altra, tutte insieme in una stanza, fanno un po’ paura, senz’altro provocano disagio. Chiunque le veda, si mette a cercare una spiegazione al senso di inquietudine e di pericolo che esse suscitano. Ecco quella di Maria Ida Gaeta, che le ha scelte per la mostra: «Le donne che Siciliano ritrae sono donne moderne, che hanno una piena cittadinanza, che hanno la stessa dignità e gli stessi diritti degli uomini, che possono diventare ciò che vogliono, assumere responsabilità, scegliere di essere o meno madri, di amare un uomo e poi lasciarlo, di amare una donna e vivere con lei tutta la vita, donne che non esistono solo all’interno degli affetti familiari, ma che sembrano protese verso altri legami e altri affetti, potendo scegliere gli amici e gli amanti che vogliono, sulla base dei propri valori e dei propri desideri. Queste donne e queste vite non possono vivere o essere raccontate in altro luogo se non in quel groviglio di grattacieli che Siciliano ritrae dalle sue finestre: esterni intrisi anch’essi dell’intreccio di ragioni e sentimenti che sentiamo agire all’interno dei corpi ritratti».
Lauretta Colonnelli