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 2010  luglio 15 Giovedì calendario

Claudio Marcello Costa è il Santone della Clinica Mobile. Il medico dei miracoli. Lui, che Rossi rientrava così presto, l’ha sempre saputo

Claudio Marcello Costa è il Santone della Clinica Mobile. Il medico dei miracoli. Lui, che Rossi rientrava così presto, l’ha sempre saputo. Lineamenti da predicatore, lessico enfatico, golf lisi. Parole da profeta, mistiche e ieratiche. Lui non lavora: celebra una missione. «Prima la Clinica Mobile era l’altare ed io il sacerdote. Poi, un brutto giorno, il motociclismo si è congedato dagli dèi consegnandosi al progresso. Da allora i piloti si affidano a medici di qualsiasi tipo e perfino ai manager». Per il Dottor Costa, «i piloti sono tutti figli». Quello prediletto è stato Michael Doohan. «Cadde ad Assen in prova, nel 1992. Frattura scomposta esposta alla gamba. Rischiò l’amputazione. Ridussi la frattura, gli sconsigliai l’operazione. Decise lo stesso di operarsi in Olanda. Nella notte sorsero complicazioni terribili, rischiava la vita. Nella notte lo "rapii" con il mio staff. Intervenni, gli permisi di alzarsi dal letto di dolore. Lo feci curare nella camera iperbarica di Ravenna da Longobardi, lo stesso che ha seguito Valentino. Fece in tempo a tornare per le ultime due gare. Perse il Mondiale per 4 punti. Pensai che la sorte non aveva rispetto del sacrificio. Poi compresi che la sorte ha sguardo molto più lungo del nostro: vinse 5 campionati di fila. Nel ’97, in Australia, Mike sollevò il mio braccio destro sul podio, come a dire che i suoi trionfi erano anche i miei. Era vero: senza di me, sarebbe stato il pilota più veloce del mondo, ma non avrebbe vinto nulla. Forse sarebbe anche morto. Ero la sua misura, il limite all’arroganza e all’onnipotenza dell’uomo. Mike mi guardava e sapeva fin dove poteva spingersi. Ero la misura grazie alla quale poteva inseguire l’ignoto, i suoni, le immagini: frammenti di un paradiso perduto». Il recupero di Doohan è paragonabile a quello di Rossi? «Quello di Doohan fu più eccezionale. Dopo la caduta, in Valentino prevaleva un chiaro sentimento di rinuncia. Non aveva mai provato quel dolore, desiderava solo rifugio sicuro. Tutti mi dicevano che non avevano fretta, ma io so solo guarire così: sono un medico da corsa. Poi ha prevalso la passione. Lo scetticismo del pubblico è naturale, il genere umano è propenso alla salvaguardia della specie, ma i piloti inseguono una loro trascendenza». Rossi poteva rientrare ad Assen? «Ho ridotto subito la frattura, ho scelto per l’operazione un fenomeno come il dottor Burzi. Installando l’impianto, abbiamo messo una vite in meno per permettere un recupero veloce. Lì ho pensato ad Assen e sicuramente Valentino poteva già esserci a Barcellona». Il rapporto con Rossi non è sempre facile. Al Mugello, due giorni prima di cadere, il pilota di Tavullia criticò Costa per aver sottovalutato il problema alla spalla. Forse Costa ne soffre ancora. «Valentino cade il 15 aprile, viene da me e capiamo subito che c’è un interessamento neurologico ascellare. Lo porto dallo specialista Porcellini. Tutti, compreso Valentino, concordiamo sul minimizzare: lui era d’accordo con noi. C’era Motegi pochi giorni dopo, il vulcano islandese è stato un segno del destino. Valentino ha fatto podio a Jerez e Le Mans, ma la spalla non migliorava. Il suo è stato uno sfogo legittimo, ci siamo chiariti. Mi assumo le mie responsabilità, non gli abbiamo detto con chiarezza che la spalla avrebbe impiegato mesi per guarire, ma non abbiamo sbagliato diagnosi. La spalla non deve essere operata: l’anno prossimo, Ducati o Yamaha che sia, sarà come nuova». Quante volte ha sbagliato? «Tante, ma ho sempre rimediato. E poi la rosa selvatica nasce in campi minati e fili spinati, mentre un bel campo di fiori può sfiorire in un attimo». Come può il dottor Costa essere «misura» dei piloti, come si coniugano misura e azzardo? «Vede, io sono l’uomo che impedisce al pilota di morire per ciò che ama. Sono colui che trasfigura la ferita in dono e feritoia, il tramite per il frammento di paradiso. Sono medicina e sacrificio, depositario e salvezza: la misura trascendente che consente al pilota di fare ciò che ama. Un amore totale, lo stesso di Paolo e Francesca».