Alberto Mattioli, La Stampa 17/7/2010; alb.mat., La Stampa 17/7/2010;, 17 luglio 2010
RIGOLETTO, UN KOLOSSAL DA MONDOVISIONE
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E tre. In principio, correva l’anno 1992, fu la Tosca «nei luoghi e nelle ore di», rimasta celebre per aver sbancato l’audience e per il volo di Domingo che perde l’equilibrio, atterra sul pavimento di Sant’Andrea della Valle, si sfascia un ginocchio e continua stoico a cantare Cavaradossi. Seguì la Traviata à Paris, nel 2002, meno bella (colpa del cast) e più premiata: quattro Emmy contro tre. Quest’anno tocca ancora a papà Verdi, ma stavolta al Rigoletto, anche lui in mondovisione e «nei luoghi e nelle ore di»: più nei luoghi, perché si fa tutto a Mantova, meno nelle ore, perché la vicenda sarà tutta concentrata in un fine settimana: primo atto sabato 4 settembre alle 20,30, secondo e terzo domenica 5, rispettivamente alle 14 e alle 23,15. Insomma, week-end con la morta, la povera Gilda. Pubblico previsto: più di un miliardo di persone. In Italia lo trasmette Raiuno.
L’evento è stato presentato a Milano, al Grand Hotel dove Verdi viveva e morì, con grande afflusso di papaveri Rai, in testa il presidente Paolo Garimberti (simpatico: «Rigoletto a Mantova lo dedico a Fedele Confalonieri», capo della concorrenza ma melomane) e il direttore di Raiuno, Mauro Mazza. Top secret la spesa, annunciata alta ma non dichiarata: «Costa come due serate e mezzo di un buon intrattenimento», boh.
Squadra che vince non si cambia. Intanto resta tutta farina del sacco di Andrea Andermann, uno di quei rarissimi matti che non solo fanno dei sogni pazzeschi, ma riescono pure a realizzarli e perfino a guadagnarci sopra. Sul podio torna Zubin Mehta e in buca, che è poi il bellissimo teatrino Bibiena, l’Orchestra sinfonica nazionale della Rai: e, nonostante le prove in agosto con il caldo e le zanzare della Bassa padana, «ci saranno tutte le prime parti», garantisce il direttore artistico, Cesare Mazzonis. Il kolossal è anche una sfida tecnica: l’orchestra suona in un posto ricevendo coro e solisti in cuffia, i cantanti cantano in un altro ascoltando gli strumentisti da altoparlanti nascosti e in bocca al lupo a chi deve assicurare unità di tempi e d’azione. A garantire lo chic delle inquadrature c’è sempre il genio della luce, Vittorio Storaro. Invece Peppino Patroni Griffi ci ha lasciati e la regia passa quindi a Marco Bellocchio, che fra le credenziali ha quelle di essere piacentino, dunque razzialmente verdiano, di aver già diretto Rigoletto in teatro e infine di averla presa con giudizio: «Alla fine uscirà qualcosa di personale, ma verrà difesa la tradizione che qui conta forse anche più che in teatro». Insomma, ci saranno i costumi Rinascimento e Rigoletto avrà la sua brava gobba.
E poi, naturalmente, c’è lui, il cantante più celebre del mondo, quello cui tutti gli operomani vogliono più bene, il Topone, il Plassy, insomma Plácido Domingo. Che è tenore ma ormai, a 69 anni (ufficiali) si sta baritonalizzando: Oreste, Simon Boccanegra e adesso Rigoletto con debutto in mondovisione. In realtà Domingo, prudente, il 2 agosto farà la sua bella prova e bella nascosta: primo Rigoletto non a Mantova ma a Pechino, in concerto con i giovani della sua Washington Opera.
Nebbia sul resto del cast. In pole position per fare il Duca e intonare quindi in mondovisione le hit dell’opera («La donna è mobile», «Bella figlia dell’amore») è Vittorio Grigolo, aspirante tenorissimo assai figo, quindi scenicamente credibile. Mistero su Gilda. Invece il «dove» è deciso: orgia del primo atto a Palazzo Te sotto gli affreschi malandrini di Giulio Romano, casa del buffone nell’adiacente «giardino segreto», secondo atto a Palazzo Ducale, osteria di Sparafucile in riva al Mincio, nell’omonima rocca appositamente restaurata. Per Mantova è un bello spot. L’anno prossimo dovrebbe toccare a Torino per Cenerentola. Sperando che sia la volta buona.
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TRADIMENTO? NO, PER L’OPERA UNA GRANDE OCCASIONE -
Io faccio televisione», dice Andrea Andermann. Sembra un’excusatio non petita a uso dei melomani puri e duri. Ma, in tutto il gran cicalare che si fa di «divulgazione» della cultura in generale e di quella musicale in particolare, Andermann coglie il punto. L’opera «vera» si fa e, Bondi permettendo, si continuerà a fare a teatro, al chiuso, per duemila happy few. Questo Rigoletto a Mantova, come già la Tosca «nei luoghi e nelle ore di» e la Traviata à Paris, è un’altra cosa: uno spettacolo televisivo e, se sarà come quelli precedenti, anche un grande spettacolo televisivo. Solo che, per una volta, ha come oggetto un’opera lirica. In altri termini: le possibilità tecniche della modernità, che finalmente per il piccolo mondo antico del melodramma smette di essere una minaccia per diventare un’opportunità, trasformano l’opera da festa per pochi a occasione per tutti. Se non è divulgazione questa...
Perciò, anche chi ha passato gran parte della sua vita (e la parte migliore) all’opera non può alzare il sopracciglio e fare lo schifiltoso. Se, fra quel miliardo e rotti di persone che vedranno il Rigoletto, ce ne saranno diecimila o mille o una cui pungerà vaghezza di rivederlo nel suo habitat naturale, un teatro, allora questo Verdi non sarà stato solo un’operazione mediatica e commerciale ma anche culturale. Senza contare che in 138 Paesi del mondo per due giorni si ascolteranno parole italiane e musica italiana guardando il paesaggio italiano, gli affreschi dell’italiano Giulio Romano, le architetture dell’italiano Leon Battista Alberti e una delle città capolavoro del Rinascimento italiano. Il tutto trasmesso dalla televisione italiana. E scusate se è poco.