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 2010  luglio 16 Venerdì calendario

DOTTORI DIETRO LE SBARRE: COSI’ SI STUDIA IN CARCERE


Tornano sui libri per conqui­starsi un momento di libertà e per costruirsi un futuro mi­gliore. Alcuni studiano per passione e curiosità, altri per ricostruire la fi­ducia in sé stessi. «In galera, avere degli obiettivi da raggiungere dà un senso alle proprie giornate», spiega Paola Marchetti, detenuta nel carce­re ’Due palazzi’ di Padova che si è i­scritta all’università. Tornare sui li­bri, per lei, rappresenta un’occasio­ne per vivere un’altra vita e per tene­re allenato il cervello «che spesso in carcere si atrofizza, stimolato com’è dal nulla più assoluto».

Ma la vita dello studente universita­rio, dietro le sbarre, è tutt’altro che semplice. Tra codici e vocabolari, manuali e dispense molti sono co­stretti a studiare di notte, quando il carcere rallenta i suoi ritmi e la con­fusione si attenua. «Provate a con­centrarvi in una stanza dove ci sono 10-11 donne che parlano, con il tele­visore sempre acceso e a volume al­to », aggiunge Paola. Le celle stracol­me e cariche di tensioni sono il luo­go meno adatto per preparare un e­same.

Eppure, scommettere sulla cultura e su una formazione di tipo universi­tario può essere una chiave impor­tante per favorire il recupero e il rein­serimento dei detenuti. Malgrado le difficoltà, sono in tanti a scommet­tere sul valore dello studio: nel 2008 (ultimi dati disponibili) erano 304 i detenuti che sostenevano regolar­mente gli esami mentre 19 avevano ottenuto il titolo di dottore. Le facoltà più gettonate? «Scienze politiche, giurisprudenza. E in generale tutti i corsi di laurea che non prevedono frequenza obbligatoria o laboratori», elenca Massimo Pavarini, docente di diritto penitenziario all’università di Bologna. Complessivamente erano 82 gli iscritti alle facoltà di ambito giuridico e 58 agli insegnamenti di ambito politico-sociale, 80 gli iscrit­ti alla facoltà di ambito letterario.

«Le università offrono le risorse di­dattiche agli studenti che non pos­sono frequentare – spiega ancora Pa­varini ”. Già da molti anni si costi­tuiscono le commissioni che entra­no in carcere per gli esami o le ses­sioni di laurea». In alcune carceri so­no state realizzate apposite sezioni per garantire a un certo numero di de­tenuti la possibilità di studiare: i Poli u­niversitari peniten­ziari, che vengono i­stituiti a seguito di u­na convenzione tra l’università, il Dipar­timento per l’ammi­nistrazione peniten­ziaria e l’istituto di pena. Sedici i Poli u­niversitari peniten­ziari oggi esistenti, a­nimati da volontari, tutor e docenti universitari; nati nel corso degli ultimi dodici anni per so­stenere i detenuti che vogliono com­pletare, o iniziare da zero, il loro per­corso universitario. A fare da apripista, nel 1998, la casa circondariale ’Le Vallette’ di Torino. Dove, grazie a un protocollo d’inte­sa tra l’università di Firenze, la Re­gione Toscana e il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, venne istituito il primo polo didatti­co d’Italia. Nel 2000 vennero attivati poli universitari in Emilia-Romagna, a Bologna e in Toscana. Nel 2003 è la volta del Lazio, con la convenzione tra l’università Tuscia di Viterbo, e di Catania (qui i detenuti possono usu­fruire di un polo con particolare at­tenzione alla teledidattica). Il 2004 vede fiorire ben cinque poli didatti­ci a Padova, Sassari, Alghero, Catan­zaro e Lecce mentre, dal 2006, han­no la possibilità di studiare giuri­sprudenza ed economia venti dete­nuti del carcere di Brescia. Di più re­cente formazione, i poli nel carcere di Sulmona e Rebibbia.

I detenuti più fortunati, quelli che scontano la pena all’interno delle se­zioni del Polo universitario, hanno a disposizione spazi adeguati in cui possono concentrarsi sullo studio e assistere alle lezioni tenute da do­centi universitari o tutor. «Qui l’am­biente è diverso – spiega Pietro Van­ni, laureando in Economia nel ’Due Palazzi’ di Padova – prendiamo for­za dall’avere un o­biettivo comune. Abbiamo stanze per lo studio, ma soprat­tutto la sera posso dedicarmi ai libri senza essere distur­bato ». Nel Polo del penitenziario pado­vano, infatti, ci sono spazi più ampi, più silenzio e maggiore libertà di movimen­to: le celle, infatti, vengono tenute a­perte nelle ore diur­ne.

Condizioni ben diverse da quelle in cui devono studiare la maggior par­te degli aspiranti dottori che si tro­vano nelle sezioni comuni. «Ci sono ragazzi che si alzano un’ora prima degli altri per studiare nel bagnetto della cella – spiega Rosanna Tosi, vo­lontaria nel Polo universitario del carcere di Padova ”. Altri che rinun­ciano all’ora d’aria per avere qualche momento di tranquillità».

«Sulla carta, il diritto allo studio è ga­rantito – dice Pavarini – ma con il so­vraffollamento è tutto molto più dif­ficile. Le emergenze, oggi sono altre». E poi c’è un problema di spazi: negli anni ”70 e ”80 le carceri sono state co­struite sotto l’emergenza del terrori­smo e della criminalità organizzata. «La dimensione della sicurezza ha prevalso su tutto, ci sono pochissimi spazi per socializzare – conclude Pa­varini ”. Per organizzare l’offerta di­dattica servirebbero spazi che oggi mancano».