ANTONIO MONDA, la Repubblica 16/7/2010, 16 luglio 2010
PHILIP ROTH - "PERCH MI PIACE TORO SCATENATO E ODIO GODARD"
Philip Roth non ha mai fatto mistero di essere rimasto deluso dagli adattamenti cinematografici dei suoi romanzi: oggi si limita a ricordare il film tratto da La macchia umana con ironia tagliente e disincanto («ma come si fa a scritturare Anthony Hopkins nel ruolo di un uomo che nasconde la propria identità di uomo di colore? Al limite può occultare il fatto che è gallese»), e non è molto più tenero rispetto all´Animale Morente («ancora non ho capito come si possa pensare ad un attore inglese per il ruolo di David Kepesh»). Tuttavia, non ha perso le speranze: recentemente Al Pacino ha opzionato il romanzo Umiliazione per un film che verrà diretto da Barry Levinson, e in questo caso lo scrittore ha deciso di avviare un dialogo artistico con l´attore, per affrontare i problemi di un adattamento che si annuncia molto delicato per le torride scene di sesso, e per il modo in cui nel libro viene affrontato il rapporto tra creatività e senilità. «Ci siamo scambiati alcune lettere», mi racconta nel suo appartamento newyorkese, a pochi isolati dal Museum of Natural History, «e sono soddisfatto dal modo con cui ha accolto suggerimenti».
Roth ha accettato di incontrarmi per discutere dei suoi film preferiti, ed inizia la conversazione chiarendo che non considera affatto «il cinema una forma espressiva inferiore. Ritengo che i grandi film non abbiano nulla da invidiare ai grandi romanzi. Il problema è che si vedono in giro troppi film mediocri. Ma si potrebbe dire lo stesso dei romanzi».
Qual è l´atteggiamento con cui va al cinema?
«Con il piacere di assistere ad uno spettacolo, e con la consapevolezza di poter essere arricchito, senza dover pensare a come mi sarei espresso nel caso avessi realizzato io l´opera in questione».
Quali sono i film della sua vita?
«Ho una lista di cinque film. Non sono necessariamente in ordine di preferenza».
Iniziamo dal primo.
«Pather Panchali di Satyajit Ray. L´ho rivisto recentemente al Lincoln Center e l´ho trovato ancora il capolavoro assoluto che ricordavo».
Cosa le piace particolarmente?
«Il modo in cui Ray ci conduce attraverso la storia con mezzi semplici, minimi. Il senso di quiete che avvolge tutto, persino la morte. Conosco pochi film che abbiano una simile purezza, e sembra che il regista non interferisca con quello che accade. incredibile poi come sappia dirigere gli attori: l´interpretazione del ragazzo è straordinaria».
C´è una scena che preferisce?
«Il momento in cui passa il treno davanti agli occhi incantati del bambino. E proprio quella scena mi ha fatto pensare al fatto che io sia uno scrittore: rivedendo il film ho riflettuto sul ruolo che ha il treno nella letteratura. Ho pensato ad Anna Karenina, e a Sherwood Anderson, il quale, come molti scrittori americani, lo utilizza come mezzo per fuggire».
Passiamo al secondo film.
«Il trono di Sangue di Akira Kurosawa, un adattamento straordinario del Macbeth. Mi sono sempre chiesto perché Kurosawa abbia eliminato un personaggio fondamentale come Macduff, ma questo non leva nulla alla qualità del film. E c´è un altro cambiamento importante: nella versione cinematografica, Macbeth è un personaggio migliore di quanto sia nella tragedia».
Cos´è che ammira del Trono di sangue?
«Il fatto che un´opera così fortemente basata sulla parola sia risolta con le immagini. l´esaltazione di cosa possa essere il cinema. Molti anni dopo Kurosawa ha realizzato un nuovo capolavoro tratto da Shakespeare, Ran, e anche in quel caso ha esaltato il linguaggio delle immagini».
Quali sono le scene che preferisce?
«La morte del protagonista, trafitto da decine di frecce, che continua a camminare, finché non viene colpito da un´ultima freccia alla gola. Si tratta di una delle più spettacolari scene di morte mai girate».
Finora ha scelto due film non americani.
«I prossimi tre saranno tutti statunitensi: inizio con Toro scatenato di Martin Scorsese. L´ho visto almeno sei volte, e credo che sia il più grande film che racconti cosa sia uno scontro, un duello. L´unico film sullo sport che mi ha colpito ugualmente è Quando eravamo re, ma si tratta di un documentario, ed era guidato dalle grandi personalità di Alì, Norman Mailer e George Plimpton. Ritengo che sia formidabile il modo in cui Scorsese riesca a raccontare l´arco della vita di Jack La Motta: E l´interpretazione di De Niro è geniale: riesce ad essere bestiale e clownesco».
Quali sono i momenti memorabili?
«La scena che preferisco è quella in cui La Motta, tumefatto e pieno di sangue, rifiuta di farsi mettere ko da Ray Sugar Robinson e gli dice "non mi hai buttato giù, Ray". Racconta tutto del personaggio e del film. Ma le sequenze memorabili sono molte: quando maledice se stesso prendendo a pugni e a testate il muro della prigione. Il finale squallido e malinconico in cui cita Fronte del Porto nel night club, e la scena in cui, divorato dalla gelosia, picchia a sangue il fratello. Anche l´interpretazione di Joe Pesci è immortale».
Un film segnato dalla solitudine e la sconfitta umana del protagonista.
«Come lo è la mia scelta successiva: Fronte del Porto, di Elia Kazan, una pellicola direttamente collegata alla precedente, non solo per la scena che ho citato. Si tratta di un´altra storia di violenza maschile, con un´ambientazione di criminalità e corruzione. E anche in questo caso c´è un personaggio molto fisico e dall´intelligenza limitata. Recentemente ho visto un approccio simile in un bel film sottovalutato: Affliction, tratto da un romanzo di Russell Banks. In Fronte del Porto Kazan segue magnificamente il suo personaggio, ed è struggente il momento in cui Marlon Brando dice al fratello, interpretato da Rod Steiger, "I coulda been a contenda". La scena avviene sul sedile posteriore di una macchina ed io ho una teoria a riguardo: quando hai due grandi attori americani, e li metti a dialogare sul retro di un´automobile, ti danno il meglio di sé».
Qual è l´ultimo film della lista?
«Quel pomeriggio di un giorno da cani di Sidney Lumet. un film di un´energia esplosiva, che riesce ad essere teso e drammatico, ironico e straziante. E Al Pacino è strepitoso: sembra di vedere una tigre. C´è una finezza da grandissimo attore nel modo in cui si rende conto che la rapina è andata male, e si sforza di prevedere quale possa essere il passo successivo. Riesce a comunicare tensione e confusione, e ti costringe a simpatizzare per lui. Ci sono altri interpreti eccellenti: John Cazale, Carol Kane e Charles Durning, un attore che mi ha conquistato anche nel bellissimo L´assoluzione di Ulu Grosbard».
Quali sono i momenti che preferisce?
«Le telefonate alla moglie obesa e al fidanzato che vuole cambiare sesso. E la scena in cui Pacino esce dalla banca ed aizza la folla contro la polizia, ricordando la violenza delle forze dell´ordine per sedare la ribellione della prigione di Attica. Il suo urlo "Attica! Attica!" è un momento emozionante, di forza e commozione».
Può citarmi invece un classico del cinema che non ama?
«Più che un film cito un regista: Jean Luc Godard. Con l´eccezione di Fino all´ultimo respiro, che ha avuto un´indubbia importanza, il suo lavoro mi sembra insopportabile».
Chiudiamo con un film recente che l´ha particolarmente colpita.
«Mi è piaciuto molto Il Petroliere di Paul Thomas Anderson, un altro film che celebra il linguaggio delle immagini».
(1-continua)