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 2010  luglio 16 Venerdì calendario

IL TRIBUNALE DEL PAPA

La Chiesa investe ancora nella forza del diritto, una convinzione che sembra revocata in dubbio da qualche iper-potere laico. E traduce il proprio fallimento mondiale sulla pedofilia del clero, coi suoi effetti moltiplicatori sulle fedeltà collettive e sull´autorità del suo magistero, in un pacchetto di norme che vorrebbero fungere da toccasana, comunque da protesi per risalire la china.
Il senso principale di questo intervento di papa Ratzinger è la trasformazione dell´ex Sant´Offizio in un megapotere giudiziario, da organo amministrativo che era. Con un´immagine iperbolica, si è tentati di descrivere l´ergersi di questa piramide romana in un paesaggio di macerie doloranti.

Per riorganizzare uno strumento repressivo efficace, il papato mette a frutto le esperienze non sempre felici delle complicazioni e disfunzioni del passato, con cui Ratzinger da cardinale era stato alle prese per quasi un quarto di secolo, ed espande lo spazio già enorme del dicastero dottrinale da lui presieduto. Non potrà più succedere in Vaticano quanto era accaduto proprio a lui di dover accompagnare un altro cardinale extraeuropeo dal segretario di Stato, allora Angelo Sodano, per invocare il via libera alla rimozione di un orco di Chiesa iperprotetto, e di doversene tornare con un rifiuto. Se il caso dovesse ripetersi, la Congregazione per la Dottrina dispone d´ora in avanti di tutti i poteri e della più ampia autonomia funzionale per istruire il processo e cacciare i colpevoli.
Tutte le competenze sparse tra vari organi giudiziari ordinari della Chiesa, incluso il tribunale della Segnatura Apostolica, vengono assorbite dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Essa si attribuisce la funzione di tribunale speciale unico competente a decidere sui "delitti maggiori", tra i quali gli abusi di pedofilia. Un tempo era il Papa a rivestire la funzione di prefetto di questa Congregazione che si definiva "Suprema". Ora essa perfeziona la sua sovreminenza nell´apparato del governo centrale della Chiesa.
Si afferma il suo diritto di giudicare cardinali, patriarchi, vescovi. Ci si può chiedere se, presa a sé stante, sia riconducibile alla classica dottrina del primato pontificio, per la quale, secondo i dogmi del Concilio Vaticano I , il pontefice "non può essere giudicato da nessuno", l´articolo 3 paragrafo 3 di queste Norme "sui delitti più gravi": "Le sentenze di questo Supremo Tribunale emesse nei limiti della propria competenza, non sono soggette all´approvazione del Sommo Pontefice".
Di fronte a questo gigante istituzionale, l´intera struttura gerarchica della Chiesa sembra coinvolta in un apparato giudiziario. I vescovi locali, i "gerarchi" vengono usati come giudici istruttori. Toccherà a loro mettere in piedi il processo in prima istanza, poi riconsegnare l´inchiesta alla Congregazione per la dottrina. Il linguaggio del diritto qui adottato parla col dizionario che al tempo del Concilio Vaticano II sarebbe stato censurato per il suo "giuridicismo". Certo, la pastoralità e il suo primato non hanno lasciato traccia.
E fa parte dell´eccesso dell´onnipotenza giuridica anche quella parte di normativa che contempla una serie di deroghe, che potrebbero essere usate come fessure improbabili per far affiorare un soffio di misericordia, ma si prestano anche a rilievi per i rischi di arbitrio o di discrezionalità "ad personam". La ragione delle deroghe sembra da ritrovare nella possibilità di affrettare le procedure, di provvedere in tempo breve alle dimissioni dei rei, di calare l´accetta più in fretta: si potrà per esempio deferire certi casi direttamente al papa, o anche saltare il processo e provvedere d´ufficio. Una volta Papa Giovanni XXIII esortava a non irrigidire le procedure per le dispense dal celibato ecclesiastico, perché "non dobbiamo procurare a questi nostri fratelli un inferno di qua e uno di là". Era un altro linguaggio.
Si farà apprezzare tuttavia in questa normativa lo sforzo di ammodernamento delle fattispecie criminali, tra le quali vengono ora incluse le intercettazioni dei segreti del confessionale, la protezione dei minori portatori di handicap psichici, equiparati ai ragazzi violentati dagli orchi. Non meno significativa la norma (che riverbera nell´ordine canonico lo sforzo del diritto comune per la protezione dei dati personali) che nega la pubblicità dei nomi del denunciante sia all´accusato sia al suo difensore, se il denunciante non conceda un consenso espresso.
Tuttavia precisamente questa recezione di apporti dell´evoluzione dei diritti soggettivi sul piano dell´ordinamento canonico rende ancora più sorprendente l´omissione del testo sugli impegni di collaborazione con la giurisdizione civile, che pure era già stata largamente autorizzata e di fatto praticata sul fronte critico dell´emersione del marcio dei pedofili nella Chiesa cattolica. La Chiesa si muove ancora col suo solito passo pesante, anche se il portavoce Padre Lombardi nel presentare queste norme ha garantito che ulteriori evoluzioni non mancheranno.
Per intanto proprio la maturazione culturale e giuridica nella società fa venire i brividi a chi, cristiano o meno, legge nel testo che l´ordinazione della donna è ancora trattata come "delitto più grave" alla pari di un sacrilegio eucaristico o del reato di pedofilia. E che perfino è considerato "gravissimo delitto" tentare di celebrare l´Eucarestia con gli altri cristiani, cioè uno degli obiettivi principali del movimento ecumenico, la "comunicatio in sacris".
Non rischia anche questo, alla fin fine, di fornire un contributo alla provvisorietà del diritto, anche del diritto canonico?