Orsola Riva, Corriere della Sera 16/07/2010, 16 luglio 2010
LA DAMA PIU’ RICCA DI FRANCIA TRADITA PER PICASSO E MATISSE
Dimenticate le ultime settimane. Riavvolgete il nastro dell’«affaire Bettencourt» a prima delle due testimonianze chiave del maggiordomo che ha chiamato in causa il ministro Woerth e della contabile che ha fatto tremare l’Eliseo. E immergetevi in questo francesissimo melodramma alla Douglas Sirk.
Tutto comincia nel 1987, sul set fotografico di una rivista molto raffinata e ancora più snob, Egoïste. Lei, Liliane Henriette Charlotte Bettencourt, è la non più giovane ereditiera dell’Oréal, l’eleganza intatta di un’aristocratica bellezza che ha ispirato milioni di donne: è sua la testa stilizzata sulle bombolette di lacca Elnett. Lui, François-Marie Banier, un fotografo di fama: suo il ritratto di Carolina di Monaco con la testa rasata.
Entrambi sono già impegnati. François-Marie è legato da oltre vent’ anni a Pascal Greggory, attore feticcio di Chéreau. Liliane è sposata con André («Dédé») Bettencourt, più volte ministro, prima di Mendès France, poi del generale de Gaulle. Una classica coppia di potere, nata quasi quarant’ anni prima con la benedizione (e sotto l’irresistibile spinta) del padre di Liliane, Eugène Schueller, legato al futuro genero da un debito di gratitudine inestinguibile: è stato Dédé, infatti, a intercedere per lui quando nel dopoguerra l’ex figlio di un panettiere che aveva fatto fortuna con le tinture per capelli rischiava grosso a causa delle sue simpatie per l’estrema destra francese. Anche André Bettencourt ha flirtato pericolosamente con alcuni circoli filonazisti e antisemiti alla fine degli anni Trenta, ma dal 1943 ha seguito l’amico Mitterrand dalla «parte giusta» abbracciando la Resistenza, e così…
François-Marie non c’entra niente con Dédé: è un incrocio fra Bel Ami di Maupassant e i Quattrocento colpi di Truffaut (più il primo che i secondi). Per sfuggire alle botte del padre, ha mollato il liceo e si è reinventato artista e dandy: a 22 anni ha pubblicato il suo primo romanzo, Les résidences secondaires, con tanto di recensione entusiastica di Louis Aragon (sedotto dalle grazie efebiche di François-Marie almeno quanto dalla sua opera prima); ha fatto il drammaturgo, l’attore a tempo perso, anche il pittore. Ma soprattutto ha frequentato le persone giuste, da Yves Saint-Laurent a Pierre Cardin, da Dalí a Françoise Sagan. Con un debole per le belle donne agées e un po’ sole, come Silvana Mangano e Nathalie Sarraute, le quali ricambiano con generosità la sua brillante compagnia e il suo charme.
Succede anche con Liliane. Qualcosa scatta su quel set fotografico… Da quel momento in poi « Madame L’Oréal» e François-Marie diventano inseparabili, lui sempre più assiduo a casa Bettencourt, un hôtel particulier a Neuilly-sur-Seine. Lei sempre più divisa fra l’attività caritatevole della sua fondazione e il sostegno al suo giovane amico.
Passano gli anni, vent’anni. Nel 2007 muore André Bettencourt. Fra il personale di servizio della casa iniziano a circolare voci strane, che Liliane voglia adottare François-Marie. E’ troppo. Troppo per Françoise Bettencourt-Meyers, unica figlia di Liliane e André, che decide di far causa a Banier accusandolo di manipolare l’anziana madre per il proprio tornaconto personale. E che tornaconto: si scopre che, negli anni, Madame Bettencourt ha devoluto al suo protégé poco meno di un miliardo di euro (993 milioni per l’esattezza). Ci sono quadri di Picasso e Léger, Matisse, Mondrian, Man Ray e de Chirico, per decine di milioni di euro. E soprattutto ci sono diverse assicurazioni sulla vita dell’ereditiera del valore di alcune centinaia di milioni intestate proprio al bel François-Marie.
Il quadro della faccenda è tutto salvo che equivoco. Ma madame Bettencourt, vera leonessa, continua a respingere le accuse: come potrebbe altrimenti? Anche Françoise non molla. In gioco non c’è solo una delle più grosse fortune francesi, con un patrimonio stimato di 17 miliardi di euro. C’è anche la conduzione del colosso L’Oréal, di cui la famiglia Bettencourt detiene il 31%, suddiviso fra madre e figlia: nel board, anche il marito di Françoise, Jean-Pierre Meyers, nipote del rabbino di Neuilly, morto ad Auschwitz.
Il caso procede fra colpi sempre più bassi fino a giugno di quest’anno, quando Françoise decide di consegnare alla polizia e pure al sito di informazione Mediapart dell’ex direttore di Le Monde Edwy Plenel 28 cd contenenti i nastri registrati di nascosto (un dittafono piazzato su un vassoio di servizio) dal maggiordomo di casa Bettencourt, Pascal B., nel frattempo licenziato. Essi testimoniano non solo delle pressioni psicologiche sempre più insistenti e crudeli di Banier sull’amica per avere soldi e ancora soldi. Ma soprattutto provano una serie di reati fiscali molto gravi: in una registrazione, per esempio, si sente Patrice de Maistre, pronipote del filosofo controrivoluzionario e spericolato amministratore delle fortune della signora, consigliarle di trasferire un ingente conto segreto (78 milioni di euro) dalla Svizzera a Singapore. Quel che è peggio de Maistre chiama in causa la moglie del ministro Woerth, Florence, una brillante carriera presso la banca Rothschild, facendo capire di averla assunta per ingraziarsi le simpatie del marito e godere della sua gratitudine eterna.
E non basta. Qualche settimana dopo si fa avanti la contabile di Madame Bettencourt, Claire T. (Thibout), anch’ essa licenziata nel frattempo perché non gradita a Banier, che lancia l’accusa più grave: 150 mila euro in contanti donati da Monsieur e Madame Bettencourt proprio al futuro ministro Woerth nella sua veste di tesoriere dell’Ump per finanziare la corsa presidenziale di Sarko nel 2007.
E così arriviamo a oggi e all’intrigo che ha allungato le sue ombre sull’Eliseo. Ed è vero che lunedì Sarkozy, in diretta tv, ha sdegnosamente respinto ogni insinuazione. Ma al di là del dubbio rilievo penale di accuse fatte e poi in parte ritrattate, resta l’opacità dei contatti fra potentati economici e referenti politici. Una pioggia di ruggine sulle ambizioni napoleoniche di Sarkozy, francese a metà che, rivendicando con orgoglio di non avere fatto le grandi scuole dei quadri di Stato, voleva dare una spallata alle vecchie élite politiche. Ma questa è un’altra storia.
Orsola Riva