FRANCESCO OLIVO, La Stampa 16/7/2010, pagina 23, 16 luglio 2010
TROPPI VOLEVANO CALVI MORTO
stato ucciso, ma non si sa da chi. Sulle ultime ore del Banchiere di Dio il mistero rimane intatto, ma una cosa è chiara, anzi «pacifica»: Roberto Calvi non si è suicidato. La sentenza della corte d’assise d’appello di Roma fa luce solo in parte sulla morte del banchiere, trovato impiccato la mattina del 18 giugno del 1982 a Londra sotto il ponte dei Frati Neri.
Se il suicidio viene escluso con parole definitive, su esecutori, mandanti e moventi il quadro resta completamente vago. Gli imputati, infatti, sono stati assolti, confermando il giudizio emesso in primo grado: non ci sono prove sufficienti contro il mafioso Pippo Calò, l’esponente della Banda della Magliana Ernesto Diotallevi e neanche per quel Flavio Carboni, arrestato per l’ennesima volta la settimana scorsa, per l’affare dell’eolico sardo e la presunta ricostituzione di una loggia segreta. Per loro, per i quali il pubblico ministero Luca Tescaroli aveva chiesto l’ergastolo.
Nelle oltre cento pagine con le quali i giudici motivano le assoluzioni emesse a maggio, ci sono anche alcune novità rispetto alla verità processuale di primo grado. Cosa Nostra, «nelle sue varie articolazioni», impiegava il Banco Ambrosiano e lo Ior (l’istituto opere religiose del Vaticano) come tramite per massicce operazioni di riciclaggio e, scrivono i magistrati, «tali operazioni avvenivano ad opera di Vito Ciancimino, oltre che di Giuseppe Calò». Nel processo, infatti, aveva testimoniato anche Massimo, il figlio dell’ex sindaco di Palermo che aveva riferito di numerosi incontri tra il padre e Calvi. Ma queste certezze non bastano a condannare Calò e gli altri due imputati, anzi paradossalmente complicano la vicenda e «allarga - scrivono i giudici - la platea delle persone a cui questo movente è possibile riferire». Sul faccendiere Flavio Carboni ci sono, secondo la sentenza, «indizi consistenti», essendo documentata la sua intensa frequentazione della vittima, e la presenza nell’albergo londinese dove Calvi trascorse la sua ultima notte. Di Ernesto Diotallevi si sa, invece, che aiutò il banchiere a espatriare illegalmente in Inghilterra, ma tutto questo non basta per condannarli.
Le dichiarazioni dei pentiti che accusavano i tre (in particolare Calò) non sono sufficienti, nessuno di loro, infatti, ha assistito ai fatti, ma si sono limitati a raccontare cose riferite da altri, le loro testimonianze, inoltre, sono apparse talvolta contraddittorie.
Ma da chi è frequentata l’ampia platea dei sospettati? I giudici su questo punto allargano l’orizzonte a più non posso: a eliminare Roberto Calvi potrebbe essere stata la mafia, la camorra, la P2, lo Ior, i politici («beneficiari delle tangenti, interessati a cambiare l’assetto del Banco Ambrosiano o a mutare gli equilibri di potere all’interno del Vaticano»). Oltre agli immancabili servizi segreti. E non solo quelli deviati italiani, ma anche quelli britannici, «essendosi acclarato che Calvi aveva, tra l’altro, finanziato l’invio di armi ai dittatori argentini nel periodo in cui era in atto il conflitto bellico per le isole Falkland». Insomma, Calvi non si è suicidato e a ucciderlo può essere stato chiunque.