Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 15/07/2010, 15 luglio 2010
I CURDI E I PALESTINESI DUE CRISI A CONFRONTO
Abbiamo letto le sue considerazioni circa le (presunte) cause che hanno indotto Erdogan a prendere le distanze dall’Europa, dalla quale egli si sente (giustamente secondo me) rifiutato, nonché i suoi apprezzamenti per la democrazia turca (sic!). Gradirei un suo commento al seguente articolo del professor Volli, pubblicato su informazionecorretta.
Giacomo Zippel
zippels@libero.it
Caro Zippel, non posso riprodurre l’intero articolo di Ugo Volli. Ecco i passaggi essenziali.
L’autore osserva che in Medio Oriente vi è un Paese «attaccato da gruppi terroristici, in particolare da uno che è sulla lista nera sia degli Stati Uniti che dell’Unione europea. Questo gruppo terroristico ha dei "santuari" oltre il confine dello Stato e di lì continua ad attaccare il Paese vicino provocando, quando ci riesce, notevoli danni e vittime. Il Paese si difende come può, per esempio usando l’aviazione per bombardare le istallazioni dei terroristi. Ma il resto del mondo non capisce pienamente la sua posizione e ci sono dei Paesi europei che non bloccano come dovrebbero soldi e armi per i terroristi, anzi consentono che a essi si manifesti solidarietà, che si raccolgano fondi e aiuti per loro e così via».
Volli si chiede ironicamente quale sia questo Paese. Israele? Il Libano? La Siria? No, è la Turchia; mentre il gruppo terroristico non è Hamas ma il partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), ammirato e sostenuto da «ex e neocomunisti d’Europa e d’Italia, che li hanno protetti per anni». Erdogan lamenta la scarsa solidarietà dei suoi alleati occidentali, ma appoggia Hamas e Volli conclude: «Se sono legittime le aspirazioni di Hamas a uno Stato islamico in Palestina, perché non quelle curde a uno Stato loro in Anatolia?».
Quando sostiene che fra la politica del governo israeliano nella questione palestinese e la politica turca in quella curda esistono alcune somiglianze, Volli ha ragione. questo, d’altro canto, uno dei motivi per cui Turchia e Israele hanno avuto per sessant’anni eccellenti rapporti. Israele è stato uno dei principali fornitori di materiale bellico alle forze armate turche e ha recentemente stipulato un contratto per la vendita di droni (aerei senza pilota) di cui i turchi si servirebbero verosimilmente per colpire le postazioni curde al di là del confine con l’Iraq. E la Turchia, dal canto suo, ha offerto a Israele l’uso del proprio spazio aereo: una facilitazione che avrebbe permesso all’aeronautica israeliana, tra l’altro, di distruggere, nel novembre del 2009, un reattore nucleare siriano.
Ma tra la questione palestinese e quella curda esistono almeno due differenze. In primo luogo la prospettiva di uno Stato palestinese è sostenuta dalla maggioranza della comunità internazionale, mentre la nascita del Kurdistan non piace né ai Paesi in cui vive una minoranza curda (Iraq, Iran, Siria) né a chiunque abbia a cuore la stabilità della regione. In secondo luogo l’irrisolta questione palestinese è ormai l’ostacolo che impedisce la soluzione di altre crisi, non meno importanti. In un articolo apparso sul Sole 24 Ore dell’11 luglio, Giuliano Amato scrive, con ragione, che una soluzione politica della questione afgana è probabilmente possibile soltanto con la collaborazione dell’Iran. Beninteso per dialogare con l’Iran occorre anzitutto sgombrare il campo dalla questione nucleare: un obiettivo per cui l’Occidente dovrebbe potere contare sui Paesi arabi, tutti egualmente preoccupati dalla prospettiva di una bomba atomica nelle mani degli ayatollah. Ma non è possibile chiedere agli arabi di collaborare all’isolamento di Teheran finché il presidente iraniano Ahmadinejad potrà accreditarsi presso le loro società nazionali come il miglior paladino dei palestinesi e giustificare il proprio programma nucleare ricordando che esiste un arsenale nucleare israeliano. Sono queste le due ragioni per cui il confronto tra la questione curda e la questione palestinese può servire alle battaglie polemiche, non alla soluzione politica di una crisi.
Sergio Romano