Massimo Mucchetti, Corriere della Sera 15/07/2010, 15 luglio 2010
IL SORPASSO DELLE ENERGIE RINNOVABILI E LE DISTORSIONI NELLA BOLLETTA - C’è
una battaglia miliardaria, combattuta dalle lobby del sole e del vento, dalle classi politiche del Nord e del Sud, dietro la querelle sull’articolo 45 della manovra economica che cancella l’obbligo per il Gestore dei servizi elettrici di acquistare a prezzo prestabilito e generoso i certificati verdi. Oggi l’Autorità per l’Energia dirà la sua con la relazione annuale del presidente, Alessandro Ortis. Ma fin d’ora si può mettere a fuoco la questione.
Per cominciare, nel 2010 gli incentivi alla produzione di elettricità da fonti rinnovabili, pari a 2,3 miliardi di euro, supereranno i contributi, pari a 1,9 miliardi, del famigerato Cip 6 del 1992, che «aiutava» non solo le vecchie rinnovabili ma anche e soprattutto le centrali con cicli combinati a gas, spacciati come assimilabili alle fonti verdi. il segnale di un nuovo, grande spreco in danno dei consumatori: una «tassa» non dichiarata e ad aliquota non progressiva a vantaggio di un settore industriale dove si trova di tutto: grandi aziende, piccoli intraprendenti e furbastri di paese.
La situazione è triste ma non seria: a Terna, la società semipubblica della rete, sono arrivate richieste di allacciamento per 168 mila Megawatt (due terzi eolici e quasi un terzo fotovoltaici), quando l’intero parco centrali italiano esistente ha una potenza di 80-90 mila Mw. La mappa dice della geografia degli investimenti promessi. Le cronache aggiungono che l’eolico è premiato in Italia assai più che in Europa, e le recenti inchieste giudiziarie sugli investimenti del crimine organizzato mostrano fin dove possono portare certe distorsioni. Anche nel fotovoltaico l’incentivo è alto, ma qui non si prevedono contributi in conto capitale né benefici fiscali. Il fatto è che viene elargito all’italiana. La metà dei programmi meridionali, per dire, nasce in Puglia dove la giunta Vendola ha incoraggiato il micro fotovoltaico: per impianti inferiori a 1Mwbasta la semplice Dichiarazione di inizio attività, poi Pantalone paga l’incentivo al produttore della porta accanto. Sinistra ecologista? Macché. Nonostante le riserve della Suprema corte, la deregolata procedura è stata codificata in legge dal governo Berlusconi.
Le richieste a Terna rivelano una follia, che muoverà soprattutto carta e burocrazie, arrivando qua e là ad ambigue rivalutazioni dei terreni. Ma il discrimine tra i progetti che si faranno e quelli che non si faranno lascia spazio pure a quelli già fatti ma non in rete che prendono l’incentivo per un terzo: green economy in salsa di pomodoro.
Ora, nel 2020 l’Italia dovrà avere il 20% di elettricità da fonti rinnovabili oltre a un 13% di energia idroelettrica classica. Proiettando a scadenza la spesa per gli incentivi, si avrà un carico cumulato sulla bolletta di quasi 50 miliardi. Ma, secondo stime di fonte Enel, la concentrazione degli investimenti fotovoltaici in atto nel periodo 2010-2013 ci porterebbe al traguardo con largo anticipo, e dunque a incentivi poi stabilmente più alti, perché legati a impianti meno efficienti: nel solo fotovoltaico, gli aiutini passerebbero da 20 a 41 miliardi nel decennio.
Questi dati di realtà hanno scatenato i contestatori globali che, magari, pensano di farla pagare ai furbetti del Sud, e i difensori interessati dello status quo, a partire dai certificati verdi di Stato. L’articolo 45 coglie un problema vero: l’eterogenesi dei fini dei certificati verdi. Il certificato verde rappresenta il diritto a inquinare che chi usa fonti fossili compra da chi usa fonti rinnovabili, così da finanziarle in parte. In origine, il prezzo del certificato verde lo stabilivano domanda e offerta. Ma le rinnovabili crescono e le fonti fossili restano stazionarie. Il prezzo dei certificati verdi, a un certo punto, è destinato a calare. E così, dopo molte variazioni nella regolazione, a comprare i certificati a prezzo protetto è lo Stato, ovvero il Gestore dei servizi elettrici, che ne scarica il costo in bolletta. Fine del mercato e inizio dei commerci lobbistici.
Il ministero dell’Economia cerca di annullare quest’obbligo. Gli operatori lamentano la schizofrenia regolatoria che allontana gli investimenti. Ma siccome i costi sono davvero eccessivi, si potrebbe fare un compromesso che dia continuità alla regolazione e, al tempo stesso, riduca gradualmente gli incentivi in ragione dell’evoluzione delle tecnologie così da mantenere una certa stabilità finanziaria e, come ha detto l’Autorità, riposizionare il prezzo dei certificati verdi ritirati dallo Stato sotto i prezzi di mercato e per un periodo non più indefinito. Ma nessun serio compromesso sarà possibile fino a quando il governo non farà un vero piano energetico nazionale che distribuisca nel tempo le autorizzazioni degli investimenti e sorvegli l’incompetenza degli enti locali così da intercettare il progresso tecnologico ed evitare sprechi di incentivi.
Massimo Mucchetti