Paolo Salom, Corriere della Sera 15/07/2010, 15 luglio 2010
LAVORO COLLETTIVO E ALTI GUADAGNI. IL MIRACOLO DELL’ULTIMA COMUNE
Per raggiungere l’ultimo scampolo di una Cina che ha fatto sognare anche molti occidentali una quarantina di anni fa, occorre percorrere 300 chilometri dell’autostrada che taglia la provincia dello Hebei da Nord a Sud, partendo da Pechino: sei villaggi riuniti nella Comune popolare di Zhoujiazhuang, l’unica ancora attiva, forse meglio dire tollerata, in un Paese che ha fatto del capitalismo (definito «socialismo di mercato») il suo nuovo, indiscutibile verbo. Lasciata la striscia di asfalto e modernità nella vicina Jingzhou, non ci sono cartelli che indichino la strada per il «paradiso dei lavoratori». Si capisce che si è quasi arrivati solo quando l’auto entra in via Dayuejin (Grande balzo in avanti), per poi confluire in viale Hezuo (della Cooperazione). Nei dintorni i muri sono stati da poco coperti di calce. Le uniche scritte a vernice (rossa) sono pubblicità di prodotti e servizi. Ma davanti all’ingresso non ci si può sbagliare. Il portone è sovrastato da uno striscione che recita: «Promuovere l’avanguardia delle cellule di base e agire come un membro modello del Partito comunista».
Una certa diffidenza rivoluzionaria accoglie i visitatori stranieri. «Documenti», chiede severo Li Zhonghai, giovane responsabile dell’ufficio di propaganda. Poi, di fronte a una tazza di tè, raggiunti dal vicesegretario Wang Haitao e da Liu Guoyu tongzhi (compagno), ormai in pensione ma «memoria» della comune, gli sguardi degli interlocutori si fanno via via più rilassati. La comune popolare (in cinese: renmin gongshe) di Zhoujiazhuang è in effetti un dinosauro che ha saputo sopravvivere all’estinzione ma anche un miracolo dell’economia. Pur avendo mantenuto la proprietà pubblica della terra e dei mezzi di produzione, e un’organizzazione del lavoro collettivistica, da alcuni anni è in forte attivo, tanto che i 13 mila membri – 4.600 nuclei familiari’ riescono a concedersi un reddito più che doppio rispetto ai contadini «liberi» che vivono nelle vicinanze. «Abbiamo dieci squadre di produzione – ci spiega Liu Guoyu ”. Ogni giorno, all’alba, i capisquadra riuniscono uomini e donne e assegnano i compiti. Alla fine del turno, a ognuno, se ha ben operato, viene riconosciuto un "credito di lavoro" che andrà cumulandosi fino a quando è ilmomento di fare i conti». E i conti, nel 2009, hanno fatto registrare un utile generale di 90 milioni di yuan (10 milioni di euro), che ha portato a un «premio» medio pro capite di 8 mila yuan (circa 9 mila euro). Una somma che, paragonata al reddito nelle campagne cinesi, 3.500 yuan l’anno, fa un bel gruzzolo, anche se molto distante dalle possibilità di guadagno offerte nelle città.
Nata nel 1958 sull’onda del collettivismo forzato introdotto dalla politica maoista del Grande balzo in avanti’ che produrrà disastri a ripetizione e una spaventosa carestia’ Zhoujiazhuang è l’unica comune ad aver resistito ai non meno profondi cambiamenti portati dalle modernizzazioni volute da Deng Xiaoping. «Dobbiamo tutto al nostro fondatore, Lei Jinhe», sorride il compagno Liu. Lei Jinhe, scomparso nel 2001, riuscì a salvare la sua «creatura» dalle successive riforme che a partire dal 1982 restituirono le campagne ai contadini. «Lei Jinhe era il segretario di partito’ raccontano Liu eWang ”. Andò dal governatore dello Hebei e gli propose: "Aspetta a distribuire la terra. I nostri contadini sono tutti d’accordo: se tra un anno saremo in perdita, allora la comune sarà sciolta". Siamo ancora qui».
Certo, rispetto al mondo immaginato da Mao Zedong, molte cose sono cambiate. Zhoujiazhuang, al cui vertice oggi siede il nipote di Lei Jinhe, Lei Zhongkui, assomiglia forse più a una cooperativa. Con significative differenze, però: per esempio, la suddivisione dei singoli membri in «squadre di produzione» e il fatto che ai lavoratori vengano assegnati compiti in base alle loro capacità, senza possibilità di scelta autonoma. Come all’origine, la comune non è solo agricola. «Oggi il 15 per cento di noi lavora nei campi o nelle stalle. L’80% è impegnata in due fabbriche meccaniche, una casearia, nella società di costruzioni, nella stamperia e nei servizi», dice il vicesegretario Wang. C’è anche chi, pur rimanendo a vivere nella comune («le case sono private, tutte a due piani»), preferisce darsi da fare per conto proprio e per far ciò paga una «tassa» annuale di 1.500 yuan. C’è da aggiungere, inoltre, che il bilancio in attivo è favorito anche dalle mutate condizioni economiche del resto della Cina, nel cui mercato libero la comune riversa i propri prodotti. Il comunismo? «Nel resto del Paese non è più di moda’ sorride Li Zhonghai ”. Per noi resta un ideale che speriamo di raggiungere, un giorno».
Paolo Salom