Francesco Verderami, Corriere della Sera 15/07/2010, 15 luglio 2010
CAVALIERE-FINI, LETTA AL LAVORO
Per sedici anni è stato l’unico incarico che ha sempre rifiutato, e spesso si è fatto vanto di questa sua assenza dalle questioni di partito, «io vivo nelle cucine di palazzo Chigi», amava dire infatti Gianni Letta. Ma ora che le prospettive del governo si sono intrecciate alle sorti del Pdl, non può sottrarsi al ruolo e all’incombenza.
vero che l’esecutivo non è a rischio, persino un’esponente dell’opposizione come Linda Lanzillotta spiega che «non ci sono alternative». Ma la preoccupazione del sottosegretario alla presidenza del Consiglio è legata alle dinamiche dello scontro tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Ha ben chiaro che i due «cofondatori» non vogliono rompere, nessuno dei due - per motivi opposti - può permetterselo. Però è altrettanto complicato ricucire lo strappo.
Letta è il più acceso sostenitore dell’incontro tra il premier e il presidente della Camera, a questo lavora, perciò l’altro ieri è andato a discuterne con Fini. E l’ex leader di An ha offerto la propria disponibilità, ritenendo nel giro di qualche giorno sarebbero stati «rimossi i due ostacoli» sulla strada del confronto: le dimissioni di Cosentino da sottosegretario sono puntualmente arrivate ieri; ora tocca verificare se si arriverà all’accordo sulle intercettazioni, tema sul quale peraltro il premier non può andare alla rottura, per non aprire un conflitto con il Quirinale.
Perciò la faccia feroce del Cavaliere contro Fini, dopo il passo indietro di Cosentino, è solo rivelatore di uno stato d’animo non l’annuncio della guerra finale. Berlusconi, al pari dell’ex fedele alleato, non può arrivare allo showdown. Semmai a giorni alterni è tentato dalla strategia della «pallottola spuntata»: bevuto l’amaro calice dell’accordo al ribasso sulle intercettazioni, sacrificato anche Cosentino sull’altare della questione morale, Fini - secondo questa teoria - non avrebbe più cartucce da sparargli contro, ma solo proiettili a salve. E il premier in autunno potrebbe procedere con una manovra di isolamento dell’inquilino di Montecitorio, a cui verrebbero magari tolte alcune postazioni strategiche, come la presidenza della commissione Giustizia della Camera affidata alla finiana Bongiorno. Il tutto in nome della «rotazione degli incarichi».
Così il Cavaliere non dovrebbe scendere a patti con l’altro cofondatore del Pdl. Una volta approvata la riforma delle intercettazioni, eviterebbe di consegnargli una quota di minoranza del partito, e inizierebbe ad isolarlo togliendo ossigeno ai dissidenti interni, chiamati a scegliere con chi stare. Terminata l’operazione, il premier avrebbe modo di dedicarsi alla soluzione di altri problemi: Giulio Tremonti, per esempio...
Ma è proprio vero che l’ex leader di An a quel punto non avrebbe più munizioni? O come dicono i finiani «è Berlusconi che ogni giorno riempie il nostro arsenale?». Chissà se il premier adotterà questa strategia, o darà retta a Fedele Confalonieri, l’amico di una vita, che gli ripete con insistenza: «Silvio, lascia stare gli incendiari». Di sicuro Letta continua a lavorare per arrivare al chiarimento.
Ma il sottosegretario alla Presidenza ritiene che il rendez vous vada preparato, debba essere cioè preceduto da un’agenda. Per esperienza diretta sa che gli appuntamenti al buio tra Berlusconi e Fini «a volte non sono andati molto bene», un eufemismo per glissare sulle risse a cui gli è toccato assistere, spettacoli più crudi dello scontro pubblico avvenuto alla direzione del Pdl.
Serve insomma fissare i temi dell’appuntamento prima di fissare l’appuntamento: e se è impensabile al momento una road map ambiziosa, che garantisca un’intesa fino al termine della legislatura, l’opzione più realistica parte da un primo step: il rilancio del partito. Nel bel mezzo dell’ordalia di dichiarazioni ostili, ieri il presidente della Camera ha lanciato un segnale: «Il Pdl è un progetto ancora attuale e vincente».
L’ipotesi del coordinatore unico è un pallino del Cavaliere che Fini condivide, ed è un argomento discusso l’altro ieri dal presidente della Camera con Letta. La prospettiva non è affatto sfumata, sebbene Berlusconi l’abbia smentita durante il vertice di partito a palazzo Chigi. Certo, ha ragione La Russa quando spiega che per modificare la struttura servirebbe un congresso, ma il «summit del Pdl in agosto» che il premier ha messo in agenda mira proprio a rivedere l’impianto della sua creatura politica per rilanciarla.
da vedere se Berlusconi e Fini si vedranno in agosto. Il Cavaliere deve sciogliere dei nodi nel partito e la manovra si preannuncia molto delicata: qualsiasi decisione adottasse, romperebbe gli attuali equilibri interni. Il «caso Verdini», per esempio, è anzitutto politico, siccome il coordinatore ripete di essersi «sempre mosso nell’interesse di Berlusconi». E poi ci sono gli ex colonnelli di An, le cordate ex forziste che si fronteggiano... Riuscirà il premier a metterci mano facendo quadrare il cerchio?
Una cosa è certa, le manovre autunnali del Cavaliere passano dalla ristrutturazione del partito. Solo dopo potrà pensare a rilanciare il governo, con o senza l’Udc in maggioranza. Solo con un Pdl forte potrà andare a ricontrattare l’alleanza con Umberto Bossi, verificando se per il Senatùr viene prima Berlusconi di Tremonti. E non è un problema di ordine alfabetico.
Francesco Verderami