RAPHAL ZANOTTI, La Stampa 15/7/2010, pagina 20, 15 luglio 2010
ALLARME SUICIDI IN CELLA
Il 101° era un camorrista. Antimo Spada aveva 35 anni e la prospettiva di passare i prossimi nove dietro le sbarre di una prigione. Una pena che, però, non finirà di scontare. Come gli altri cento prima di lui, Antimo Spada è morto. Ha tentato di impiccarsi in cella ed è uscito dal carcere in condizioni tanto gravi da spirare, tre giorni più tardi, nell’ospedale Maria Vittoria di Torino.
Spada non era un delinquente comune. La sua fedina riportava una sfilza di reati importanti come associazione a delinquere, tentato omicidio, rapina, estorsione, armi. Era ritenuto affiliato al clan dei Venosa capeggiato da Luigi Venosa detto «u’ chiucchiere», famiglia alleata dei Casalesi di Francesco «Sandokan”» Schiavone. Era stato arrestato a 20 anni. Di galera, ne aveva fatta parecchia. Ma era, anche, un detenuto a rischio, con problemi psichiatrici che lo avevano portato a Torino.
Spada sembrava non reggere più il regime carcerario. Per questo era stato trasferito dal carcere di Lecce, il 25 giugno, a Torino, dove da anni esiste un reparto di osservazione psichiatrica che ospita detenuti provenienti da tutta Italia. Dopo una prima visita, qualche giorno fa, Spada era stato affidato alla settima sezione, blocco A, quello dedicato ai detenuti con problemi di equilibrio mentale. Proprio questo stupisce, della sua morte. Perché i detenuti di quel blocco, per la loro particolare condizione, vengono costantemente ripresi dalle telecamere. Spada era sottoposto a regime di alta sicurezza. In teoria gli agenti della polizia penitenziaria che lo tenevano sotto controllo avrebbero dovuto notare qualunque suo gesto sospetto.
Eppure, domenica scorsa intorno alle 18,30, Spada è riuscito a eludere la sorveglianza elettronica e si è impiccato con il lenzuolo del proprio letto.
Il personale della polizia penitenziaria, quando si è accorto di quel che stava accadendo, ha subito aperto la cella e lo ha soccorso. Spada è uscito dalla casa circondariale vivo, ma in coma. stato ricoverato in ospedale e il giorno successivo sono arrivati i suoi parenti dal Meridione. Purtroppo non si è mai ripreso, è deceduto ieri mattina alle 11.35 del mattino, mentre era piantonato.
«Abbiamo subito aperto un’indagine interna per capire come sia potuto accadere - spiega Aldo Fabozzi, provveditore regionale alle carceri - Di solito non succedono episodi come questo negli istituti piemontesi, vogliamo fare luce al più presto».
Il direttore del Lorusso e Cutugno, Pietro Buffa, si dice «addolorato per la perdita di una vita, come tutto il personale della polizia penitenziaria». Il mattino successivo, gli agenti hanno sventato altri due tentati suicidi tra le 6 e le 7 del mattino. «Gestiamo casi delicati e non sempre si vede il lavoro che c’è dietro il salvataggio di molte vite».
La morte del 101° detenuto dall’inizio dell’anno ha ovviamente attirato i riflettori su un fenomeno preoccupante. Secondo l’Osservatorio permanente sulle morti in carcere di Ristretti Orizzonti, dall’inizio del 2010 trenta carcerati si sono impiccati, 7 sono morti inalando gas, mentre altri 64 sono morti per malattie o per cause ancora in via di accertamento. In dieci anni i detenuti morti sono stati 1699, di cui 591 per suicidio.
Di recente, le camere penali di tutta Italia hanno presentato un esposto a numerose procure d’Italia perché s’indaghi sulle condizioni delle carceri italiane, sovraffollate e con grossi problemi igienico-sanitari. Erano già pronte ad essere inviate in Libia le 24 tonnellate di formaggio sequestrate dai funzionari dell’ufficio delle Dogane di Taranto. La mozzarella «autentica» era stata sostituita da confezioni di pasta filata congelata prodotto in Germania stipato in un container e rinominata come «mozarella cheese». Per ingannare i consumatori sulla reale provenienza del prodotto, nella confenzione era chiaramente visibile la bandiera tricolore. Grande soddisfazione è stata espressa da parte di Pietro Salcuni, il presidente della Coldiretti Puglia, per l’esito positivo dell’ operazione della Finanza. Per supportare la purezza del «made in Italy» nel settore lattiero-caseario è stato finanziato un consistente fondo che sarà a disposizione delle forze dell’ordine e degli organismi di controllo per garantire l’autenticità dei prodotti italiani. La contraffazione dei prodotti «made in Italy» muove tutti gli anni un giro di affari pari a 60 miliardi di euro.