Alessia Maccaferri, Nòva24 15/7/2010;, 15 luglio 2010
COMPORTAMENTI URBANI
«D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda». Se l’Italo Calvino delle Città invisibili passeggiasse oggi per le strade di periferia, troverebbe complicità: persone che non aspettano risposte calate dall’alto, persone che hanno smesso di lamentarsi e si sono organizzate con idee e progetti. in queste periferie fisiche e culturali che nasce l’innovazione, la creatività che cerca soluzioni a problemi emergenti e necessità insoddisfatte.
Qualche mese fa è uscito negli Stati Uniti Green Metropolis, un libro (pubblicato in Italia dall’Università Bocconi editore) in cui il giornalista del New Yorker David Owen avanza una tesi provocatoria, sostenuta da molti studiosi di scienze sociali e avversata dagli ambientalisti: Manhattan, con i suoi 26mila abitanti per chilometro quadrato, è un modello di città sostenibile. Perché gli abitanti vivono vicini al lavoro, perché consumano meno acqua, meno energia elettrica e meno benzina del bucolico Vermont. Secondo l’autore il segreto sta nella densità abitativa, nella prossimità delle case e tra queste e i luoghi di lavoro e di svago.
A Milano l’esperienza della Bovisa conferma la tesi di Owen. nata da pochi mesi la prima esperienza italiana di cohousing . Da un ex complesso industriale ristutturato è stato ricavato l’Urban Village, un’ottantina di persone che condividono una serie di spazi (la piscina, l’hobby room, le lavanderie), di servizi (la manutenzione del giardino fatta a rotazione o, in futuro, il Gruppo di acquisto solidale) e di valori (la sostenibilità ambientale e il vivere in una dimensione di paese, seppure in città). Non sono neo-hippie ma una nuova forma organizzata per rispondere con economie di scala, con la progettazione partecipata, con la socialità ai problemi di sostenibilità di una metropoli. E la domanda non manca, secondo Cohousing Ventures, società di servizi che si avvale della consulenza del Politecnico: altre settemila persone sono in lista di attesa, tra Milano e Padova. Nel cohousing le persone sono chiamate a progettare assieme spazi e servizi, ogni esperienza diventa così diversa dall’altra e risponde a bisogni specifici.
Nell’economia della conoscenza le relazioni diventano un valore. Aldilà delle potenzialità tecnologiche Internet ha valorizzato le reti con le loro logiche premianti; le stesse logiche del world wide web- orizzontali, di condivisione - appartengono ormai a molti ambiti. Come mostra il fenomeno crescente di The Hub, il network che si sta sviluppando in tutto il mondo da Mumbay a San Paolo e che in Italia è attivo a Milano, Roma e Rovereto. Le persone, gli imprenditori che vogliono portare avanti business o iniziative impron-tate all’etica e alla sostenibilità ambientale creano assieme centri di innovazione sociale. E sfruttano i meccanismi della co-creazione per mettere a punto missioni e strumenti. Dalle relazioni tra queste persone che condividono uno spazio e un progetto nascono idee e soluzioni innovative.
Le città sono i telai su cui vengono intessute queste relazioni virtuose. Lo hanno ben capito tutti i gruppi che si attivano con iniziative spontanee. Che chi pianta alberi di notte, chi mette cartelli segnaletici, chi traccia il profilo delle ombre con gessetti. Azioni che hanno un effetto contagioso positivo sulla città,come ha teorizzato l’urbanista brasiliano Jaime Lerner. Secondo il suo concetto di «agopuntura urbana» per iniziare a migliorare la città è meglio sostituire la pianificazione massiccia con interventi mirati per infondere energia a punti nevralgici della rete urbana; esattamente da quei punti l’energia si diffonderà tutto intorno. Lui lo ha dimostrato negli anni 70, come sindaco di Curitiba, città diventata una buona pratica a livello mondiale.
Reti, relazioni, partecipazione non sono solo il terreno in cui germoglia l’innovazione. Possono essere spinte forti allo sviluppo: la gestione di beni pubblici affidata alle comunità locali può essere una terza via tra Stato e mercato. Un pensiero che è valso a Elinor Ostrom il Nobel per l’Economia.