Roberto Da Rin, Il Sole-24 Ore 15/7/2010;, 15 luglio 2010
IN ARGENTINA NATA LA REPUBBLICA DELLA SOIA
Sul pullman che porta a Rosario si può prender posto a destra o a sinistra. Il panorama è identico. Nelle quattro ore di viaggio l’orizzonte non cambia mai: campi di soia, solo soia. Un mare verde. La Pampa, una distesa di milioni di chilometri quadrati, non è più quella celebrata dai poeti argentini,
el vertigo horizontal, la vertigine orizzontale. Una terra di gauchos, vacche, lavoratori agricoli, piccoli paesi e grandi tradizioni.
L’Argentina è diventata la repubblica della soia. Lo sviluppo della pianta oleaginosa ha permesso al paese di risollevarsi dalla depressione del 2002, ma il prezzo è stato alto: la condanna alla monocoltura. Nel 2003 la soia occupava 7 milioni di ettari, nel 2010 sono diventati 20 milioni. «Troppi», dice Oscar Bertone, direttore della rivista Rosario Express.
Il 64% dei terreni destinati a uso agricolo è occupato dalla soia. La si vende alla Cina,all’India, alla Russia e all’Europa. «Ma se un giorno questi acquirenti dovessero fare un passo indietro? Se le quotazioni sui mercati delle commodities agricole cadessero? I terreni- dice Bertone- non potrebbero essere riconvertiti in tempi brevi, tornando al grano, al mais, ai pascoli, le produzioni di sempre: la semina intensiva di soia non consente la normale ossigenazione della terra, ma la febbre non conosce ragioni ». Buenos Aires, Cordoba, Entre Rios, La Pampa e Santa Fe sono le cinque province del boom, le terre più fertili dell’Argentina, forse del mondo. Delimitano un territorio quattro volte l’Italia: nel 2003 un ettaro di terra si comprava a 2mila dollari, oggi ne vale 12mila. Le coltivazioni di soia, ovviamente transgenica, hanno rendimenti elevatissimi e per questo la frase ricorrente, nei bar di Rosario, è «la soja se come todo», la soia si mangia tutto:richiede poca manodopera e incentiva un’elevata concentrazione di proprietari terrieri. Le quotazioni alla borsa di Chicago, 350 dollari alla tonnellata, sonouna manna che arricchisce operatori e imprenditori ma spaventa economisti, sociologi e agronomi. Il viaggio nel mondo della produzione lo si può fare a ritroso, risalendo per pochi chilometri il Rio Paranà. Una quindicina di porti fluviali, uno dopo l’altro, si susseguono in un breve tratto: Vicentin, Terminal 6, Timbues, Puerto General San Martin. Da lì delle grandi chiatte partono per Rotterdam, il Cairo, Shangai.
Ricardo arriva da Vicentin con il suo Iveco da 30 tonnellate dopo 4 ore. uno dei 10mila camionisti che transitano in questo terminal. Posiziona il suo bestione su una piattaforma mobile che agevola lo scarico di soia in un enorme serbatoio. Qualche altro passaggio, l’eliminazione della buccia, la trasformazione delle palline di soia in lamelle e infine il trasporto sulla nave. Sul ciglio della strada i rimorchi lasciano un tappeto giallo lungo la carreggiata, milioni di piccole palline. Lungo la ruta 13, al nord di Rosario,un’infilata di pueblos sojeros , paesi che vivono di soia. A El Trebol ci attende Francisco, 28 anni, e i nostri 10 minuti di ritardo non passano inosservati. «La siesta? Non scherziamo, noi argentini siamo efficienti. Almeno chi lavora con la soia. Vede quella macchina agricola? Costa 30mila dollari, in 14 ore batte 80 ettari. Alla fine della raccolta ne avrà lavorati 2mila, di ettari. Ho lasciato gli studi per la soia. La mia famiglia aveva una piccola azienda zootecnica, abbiamo venduto tutto, i terreni sono stati convertiti a soia».
Con Francisco si interrompe la trasmissione dei saperi legati a un mondo, quello agricolo argentino, che va scomparendo. Molti dei suoi coetanei sono già piccoli
rentiers. Vivono di rendita. Fernando, pantaloni bianchi, pullover griffato e Rolex al polso, trascorre sì le giornate a El Trebol, ma al campo da golf. abbronzato, parla malvolentieri mentre sceglie la mazza ideale per il prossimo tiro. «Mio padre alle 5 di mattina era già sul trattore e ci resta fino al tramonto racconta con orgoglio misto a disappunto è giusto che io faccia una vita diversa». In effetti non lavora, si limita ad affittare gli appezzamenti a un fondo agricolo, e con 50 ettari incassa 18mila euro l’anno.Una bella cifra qui, dove un medico o un giornalista ne guadagnano 8 9mila. La soia,l’oro verde che arricchisce e snatura, ha distrutto tradizioni e colture, annientato ogni proposito di diversificazione produttiva e rilanciato un’idea di paese agroesportatore, sempre dipendente dalle fluttuazioni delle materie prime. «Sarebbe indispensabile avviare un dibattito politico sulla soia, sul tipo di sviluppo che comporta - dice Marcelo Brignoni, deputato originario di Santa Fe - ma è impossibile; dei 19 deputati di Santa Fe, 14 sono grandi produttori di soia». Carlos Reutemann, ex pilota di Formula 1, è uno di loro, e molto probabilmente si candiderà alle presidenziali del 2011. Il governo di Cristina Fernandez de Kirchner applica una tassazione del 35% sul valore della raccolta, e questa è una delle principali voci di ingresso tributario.All’esecutivo va riconosciuto il merito di aver tentato di diversificare la struttura produttiva del paese. Ma è stata una battaglia persa. Troppi soldi, troppi interessi dei poteri forti, della mitica sociedad rural, la lobby più potente del paese. A ciò si aggiunge la domanda crescente di biodiesel, un carburante composto, per il 90% da olio di soia.
Gli argentini che beneficiano dello sviluppo unidirezionale non sono molti, ma nell’immaginario collettivo continua ad albergare l’idea che questo sia il granaio del mondo e un altro sviluppo non sia possibile.Un’interminabile sequela di cicli, boom e tracolli, determinata dai prezzi delle materie prime agricole. La novità sono i giovani rentier. Qui si può esserlo a vent’anni. Intanto Fernando è arrivato alla diciottesima buca.