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 2010  luglio 15 Giovedì calendario

CHE TRISTEZZA CHI SPECULA SULL’IMPEGNO CIVILE

Aun certo punto della nostra chiacchierata, Vitaliano Trevisan di­ce «ma io sono un fan degli esseri umani». Ha appena finito di demolire, in serie, Roberto Savia­no, Matteo Garrone, Toni Servillo, i giornali e la bolla della comunica­zione, Vicenza, gran parte del mon­do del teatro e dell’editoria, gli am­ministratori pubblici, gli architetti e i geometri, Marco Paolini, la Chie­sa e i politici. E dunque quando gli chiedo se in questo mare di mace­rie ci sia un’isola da salvare, lui mi guarda con i suoi occhi da pastore siberiano che dominano un volto dai lineamenti duri, più slavi che la­tini, e si spiega: «Io ho simpatia per gli esseri umani... Come posso non averne sapendo che siamo tutti ac­co­munati dallo stesso tragico desti­no di morte?». Niente mediazioni, niente conso­lazioni, niente diplomazie, zero compromessi. Passione, quella sì. E tanta libertà di critica, anarchica, dura, indifferente alle conseguen­ze. Cinquant’anni,scrittore,dram­maturgo, attore per il cinema ( Pri­mo amore di Matteo Garrone, tra gli altri) e per la televisione (la bellis­sima fiction su Basaglia e Ris.
Delit­ti imperfetti ), seduto al Bar degli Ar­tisti nel centro storico della sua Vi­cenza - «c’è il bar, ma non ci sono gli artisti» - Trevisan anticipa le do­mande e si butta a capofitto, smen­tendo l’idea che potrebbe derivare dai suoi racconti pieni di ossessio­ni, solitudini,insofferenze,dell’au­tore taciturno al quale bisogna tira­re fuori le parole una alla volta. Lei scrive e parla molto di morte, però si chiama Vitaliano, bella contrad­dizione... « un nome che deriva dal greco ”colui che dà la vita” e mia madre me lo diede perché si era appassionata ad un personag­gio di un film sull’antica Roma che si chiamava così».
Da poco è uscito il suo Tristissimi giardini (Laterza, pagg. 140, euro 10), sorta di viaggio esistenziale tra la periferia vicentina dell’industria­lizzazione ca­lata sull’humus conta­dino e la Roma della cultura, le due sponde entrambi respingenti, tra le quali l’autore pendola, armato del gusto dell’invettiva e dell’autoi­ronia. Per non prendersi troppo sul serio,scrive Trevisan,perché«c’è il rischio di appesantirsi, di interpre­tare un ruolo, di diventare quel ruo­lo. Essere formattato!, niente mi fa più orrore». Come non approvare. Però, le contraddizioni alligna­no: gli esseri umani le saranno sim­­patici, ma i suoi scritti grondano mi­santropia... «La mia è una condizio­ne più che una scelta. solitudine, non isolamento. Volontà d’indi­pendenza più che geloso individua­lismo. Scrivo per il teatro e il teatro è lavoro di gruppo. Ma in questo pezzo di Veneto, le teste buone so­no sempre rimaste isolate più che altrove. Basta pensare a Piovene e Parise, per dire due autori che mi sono cari».
Volontà d’indipendenza... «Di evadere dalle logiche degli schiera­menti. Di qua sei con Berlusconi di là stai con gli anti. No. Ero così an­che prima. Se non ti mettevi con la Dc ed entravi nei suoi circoli voleva dire che eri comunista. Ancora no. Io non amo la narrazione come co­municazione e mi rifiuto di divide­re la lavagna in buoni e cattivi. Piut­tosto lavoro di meno, lascio cadere le proposte di collaborazione che arrivano dai giornali appena capi­sco che vorrebbero incasellarmi. Per il teatro, più mi allontano da Vi­cenza, vado in provincia o in altre città - Milano, Roma, Torino - me­glio vengo accolto. Però, ora con l’arrivo di Alessandro Gassman al­la direzione artistica dello Stabile del Veneto e di Flavio Albanese, l’ex direttore di Domus , alla presi­denza del Comunale di Vicenza, al­cune cose cominciano a cambiare.
Se scegli di stare fuori dalle consor­terie devi aspettare che qualcuno si accorga di te e ti consideri una ri­sorsa ».
Succede? «Qualche volta sì. suc­cesso con Roberto Herlitzka che ha portato in scena il mio RH . succes­so con La bancarotta. Ossia il Mer­cante fallito , un testo di Goldoni che sto riadattando per lo Stabile del Veneto e che mi sembra molto attuale, sul fallimento di un gruppo di commercianti le cui conseguen­ze ricadono sulla collettività. Ed è successo anche per Una notte in Tunisia , protagonista un grande politico italiano in esilio interpreta­to da Alessandro Haber per la regia di Andrée Ruth Shammah». Un po­l­itico italiano in esilio in Tunisia... «Tocca agli storici fare la storia di Tangentopoli. Ma ci vorranno pa­recchi anni. Intanto, è una realtà che la soluzione politica al proble­ma del finanziamento dei partiti auspicata da Craxi non sia ancora stata trovata. Il mio è un testo teatra­le e Craxi è un grande personaggio tragico, drammaturgicamente in­teressante. diventato il capro espiatorio di un metodo che ha at­traversato tutta la politica italiana soprattutto a causa del suo tempe­ramento. Si è messo da solo in quel­la situazione rifiutando i compro­messi che gli erano stati offerti e che altri, invece, hanno accettato. Perciò parlo di esilio e non di lati­tanza ».Sarà un polverone...«C’è at­tesa, la Shammah lo definisce un la­voro scabroso. Per adesso è stato prenotato dal Franco Parenti di Mi­lano, poi andrà al Quirino di Roma. Ma la tournée ancora non c’è... Aspettano di vedere se contiene una riabilitazione di Craxi oppure no».
Geometra, muratore, corriere, portiere di notte: per una quindici­na d’anni lavoratore dipendente cambiando continuamente padro­ne, Trevisan è rinato dopo i 33, «quando ho comprato un compu­ter visto che con la macchina per scrivere non riuscivo a scrivere». Per un bel po’ i lavori pratici, ma­nuali, e la passione della scrittura hanno convissuto, contendendosi le energie fisiche e nervose, il tem­po, le notti. Trevisan, rughe da mu­ratore e occhi da artista, è uomo di contraddizioni e contrasti forti. Nel 2002 la pubblicazione de I quindici­mila passi da Einaudi, il suo libro più fortunato che narra di Thomas e della sua mente assediata, osses­sionata dal contare i passi dei lun­ghi tragitti che percorre a piedi tutti i giorni, ha inaugurato una nuova vita, solo letteraria e artistica.
Anche in lei sta crescendo la ten­tazione dell’impegno civile... «Per la pièce su Craxi? No, è solo teatro, nient’altro.Voglio essere giudicato per la qualità dei miei testi. E vorrei che ci fosse la libertà di farlo con tut­ti. Invece, ci sono quelli che diven­tano letterariamente intoccabili perché circondati dall’alone del­l’impegno civile. Prenda Saviano: se qualcuno osa dire che Gomorra non è scritto bene passa per filoca­morrista. E Paolini? Qualsiasi cosa faccia è un capolavoro. Invece ha banalizzato Il sergente nella neve di Rigoni Stern. Possiamo dirlo? Il
brand dell’impegno civile è diven­tato un valore commerciale: fa ven­dere i libri, staccare i biglietti a tea­tro, riempire le sale, scalare le clas­sifiche. Il lettore e lo spettatore pa­gano dieci/quindici euro e poi si sentono con la coscienza a posto. Per me chi fa il proprio dovere ogni giorno, soprattutto se rifiuta logi­che di appartenenza, è altrettanto civilmente impegnato. Qui, ormai, abbiamo impastato nello stesso prodotto letteratura e comunica­zione, arte e cause sociali. Invece, sempre per stare all’esempio di Sa­viano, credo che anche grazie al successo ottenuto - e il successo è sempre pericoloso- appartenga al­la grande bolla mediatica più che alla letteratura, alla militanza socia­le più che all’arte».
Critico con Saviano e Paolini. Spietato con Matteo Garrone e To­ni Servillo, con i quali ha pure lavo­rato... «E sono state esperienze complicate. Se io presto un’opera mi aspetto di essere pagato, soprat­tutto se si tratta di lavori svolti su commissione. Invece, c’è una zo­na grigia di non detto per cui intan­to lavori, poi si vedrà. E quando vai a vedere scopri che il compenso è un optional. Sarà perché sono sta­to a lungo un dipendente, ma mi aspetto che il mio contributo a una sceneggiatura o a una scenografia teatrale venga riconosciuto. Altri­menti è un guaio. Così,mi sono fat­t­o l’idea che esista un intreccio stra­no, un meccanismo ambiguo di co­op­tazione e promozione negli am­bienti giusti. un sistema, un mer­cato alternativo...». Si spieghi. «Punto primo: io non posso lavora­re­gratis perché non sono nelle con­dizioni per farlo. Altri, invece, evi­dentemente possono farlo. Punto secondo: se il compenso in denaro è un optional, significa che ci sono altri modi per pagare la prestazio­ne. Il coinvolgimento nel film suc­cessivo tipo ”Dai, ti faccio lavorare ancora...”,l’introduzione in un am­biente che conta, la promozione presso un collega eccetera. Infine, terzo punto: così si definiscono per­corsi professionali, riconoscibili nei film e nelle produzioni di tanti registi e attori».
Demolisce tutto o quasi. Cosa sal­va? «Non demolisco,critico.Se aves­si v­oluto distruggere avrei continua­to a fare il geometra, per demolire co­struendo. Invece, il diritto di critica ci aiuta a pensare, discutere, miglio­rare. Salvo gli esseri umani, con il lo­ro destino di morte. E salvo la lin­gua, lo scrivere. Per il cinema o per il teatro o dove posso. In fondo, la mia unica ambizione è scrivere bene».