Giancarlo Dotto, Max luglio 2010, 15 luglio 2010
B SIDE. RIFLESSIONI SEMISERIE SUL SENSO DELLA VITA
Avete mai posato la vostra faccia stanca sul culo di una donna? Ancora meglio, dentro il culo di una donna? Se sì, non siete mai stati così vicini al senso della vita. L’ideale sarebbe farlo un attimo dopo aver appreso di un cancro incurabile al fegato, possibilmente il vostro, mentre di fuori la pioggia sottile non passa come non passa il dolore e la voce alcolica di Shane MacGowan, nello sfondo, vi canta qualcosa che non è necessario capire per intendere. E voi lì, che dite "culo" ma vorreste dire "cuore". Delizie e perdizioni raffinate, ma sempre più rare. Tutta colpa di Keplero. Da quando la scienza ha preteso di misurare la distanza tra noi e le stelle, le stelle hanno smesso di parlare agli uomini. Che più sanno, meno ne sanno. Che siano lì a spiare le stelle o le donne. Più inseguono la donna, più la perdono. E si perdono. Un po’ come pie’ veloce Achille, perso dietro i passi della tartaruga, ma anche dietro le mele di Briseide. Che è poi la stessa bestia, e comunque il risultato non cambia. Devi arrivarci, per capire che non ci arriverai mai.
Sul rapporto tra l’infinito e il culo delle donne basta interrogare quel lussurioso di Giovanni Brass, detto Tinto, veneziano di sangue russo, culologo di fama internazionale. L’uomo che ha riscritto Manzoni ("Ai posteriori... l’ardua sentenza") e ha pubblicato un suo Elogio del culo, con tanto di decalogo incorporato. Condannato da anni a fare lo stesso film, perché il culo è lì, ovunque, a portata di mano, in primo piano, inquadrabile, palpabile ma irraggiungibile. Che mi ha giurato una sera di aver seguito un culo di donna da Venezia a Mosca. Un caso di devozione. Della donna non sapeva il nome e non ricorda la faccia. Ma il suo culo sì, eccome. Abbottonato nel suo pastrano nero, la cravatta fucsia a mollo nella tazza del caffè, me lo ha disegnato a penna su una salvietta di carta, mentre masticava e aspirava il suo enorme wurstel di tabacco.
I bei culi sono ipnotici. Parlano. Respirano. Vanno ascoltati. Lo sa bene anche Armandino, baro e barese, una moglie con le tette che le arrivano alle caviglie. A tempo perso, cioè sempre, fa chilometri a piedi da Stazione di Porta Nuova a Parco Sempione a seguire il di dietro delle donne, per la serie "va dove ti porta il culo". Seguendole per ore, fino al portone di casa, fantasticando affondi sodomitici, forse, ma senza mai importunarle. Più ammirazione che libidine. Un esteta, prima ancora d’essere un pornografo.
Lui come Brass, Fellini, Botero, D’Annunzio. Senza nemmeno avere l’alibi di filmarli, dipingerli o poetarli. Da Neanderthal a Totti, gli uomini accorrono in massa quando il culo parla. Come topi ammaestrati. Infilano l’anello nuziale al dito della sposa solo perché non ce n’è uno abbastanza grande da contenere il suo fondoschiena.
Tanti sinonimi, ma nessuno che vale l’originale.
Nessuno parla del culo come la parola "culo". Il culo riempie la bocca, concetto chiaro e caro a quel perversone di Namio Harukawa, il geniaccio giapponese che disegna culi giunonici di donna sotto i quali gemono, schiacciati, inermi e però gaudenti, nella morte imminente, omarini usati come latrine, per lo più legati ma non imbavagliati, perché la bocca deve affondare tutta nel baratro soffocante di quella giungla di carne. Illustrazioni che indicano finalmente la via maestra a un suicidio esemplare anche perché meno sanguinario, che non sia infilarsi una spada in pancia o buttarsi dal decimo piano. Sarebbero tanto piaciute al marchese De Sade ma ancora di più, dal punto di vista maschile, al barone von Masoch, che scongiurava l’horror foeminae che era poi l’horror vacui, consegnandole lo scettro e firmando la sottomissione. Geniale ma faticoso. Difficile istruire una padrona che non sia la parodia di una padrona.
Lo diceva non so chi, forse io, che "una donna senza culo è come un villaggio senza chiesa". Non c’è donna senza culo, non c’è comunità senza culto. Il culo è un culto. Ma anche una formula matematica. Lato B e fattore C di una trascendenza A. Il professor David Holmes dell’universita di Manchester, nessuna parentela con John, pornodivo, pornoestinto, ci ha costruito sopra un algoritmo per decifrare il culo perfetto, la combinazione di armonia, pelle, struttura, compattezza. Non si capisce proprio perché il culo non debba avere la stessa dignità, almeno, della faccia. Che è meno onesta, usa trucchi e maschere. Nasconde. Mentre il culo non mente. Non imbroglia. anche più espressivo della faccia. Che sia fatto di marmo o di carne tremula. Il culo va al di là della faccia. sfacciato. Ti chiama e ti dice dove stai andando. Ti dice anche "lasciati andare". Ne è convinto Tinto Brass, l’unico regista per cui l’espressione "recitare con il culo" non è un insulto ma una candidatura all’Oscar. Nei culi, secondo lui, c’è il destino delle persone. La tua cartella clinica. Basta leggerlo. In quello della Claudia Koll c’era tutta scritta la deriva mistica. «Un’ombra di malinconia». Si capiva dove sarebbe andata a parare. In convento. Come nel culo da dea Tellus di Serena Grandi ci sono disordine e carnalità.
Il culo è ovunque. Nelle parole e negli sguardi degli uomini. Nei manifesti lungo le strade. Quanti guardoni si sono schiantati addosso a un muro o a un palo della luce perché "portati altrove" dal culetto di "Roberta", alias Michelle Hunziker, il più amato dagli italiani, dopo quello di Nadia Cassini, sia chiaro. Ve lo ricordate lo sguardo attonito di Lino Banfi, tutti noi, bei tempi, quando era ancora un guittaccio greve, che ci dialogava con il suo culo in primo piano: «Perché non parli?». E il culo che parlava. E mezza Italia che lo invidiava. O quante volte sequestrati da quello non meno calamitoso di Rosa Fumetto, un’intellettuale prestata allo strip, che dice «il talento non è nel culo, ma nella testa di chi lo guarda». Sarà per questo che il culo della vicina è sempre il più bello.
Dulcis in culo. Il culo è felicità, fortuna, fatica, è un viaggio all’inferno ma anche in paradiso. la vita. Una cosa da prendere a calci, da prendere e basta. Qualcosa da salvare e da profanare. Fa rima con padulo. Si può rimare, tastare, baciare, schiaffeggiare, ascoltare. Si può leccare per fare strada o per perdere la strada. Senza lasciare briciole dietro di sé.