Sergio Romano, Panorama 15/7/2010, 15 luglio 2010
ECCO PERCHE’ ISRAELE E TURCHIA CERCHERANNO UN COMPROMESSO
La Turchia sembra decisa a non perdonare il sanguinoso attacco di un commando israeliano contro la nave turca Mavi Marmara che trasportava aiuti umanitari agli abitanti di Gaza. Sul maggiore quotidiano di Istanbul (Hurriyet) il suo ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, ha dichiarato negli scorsi giorni che Israele deve scegliere fra tre possibili opzioni: presentare scuse formali, approvare una commissione internazionale d’inchiesta sulla vicenda dell’arrembaggio o accettare la rottura dei rapporti con la Turchia. Israele, d’altro canto, sembra altrettanto deciso a mantenere la propria posizione. Non intende né chiedere scusa né rinunciare al principio di una commissione strettamente nazionale con la presenza, tutt’al più, di due osservatori già designati dal governo di Gerusalemme.
Non sembrano esservi, dunque, margini di compromesso, ma nell’apparente fermezza delle rispettive dichiarazioni potrebbe nascondersi la speranza di un’intesa.
Davutoglu non ha chiesto a Israele di rinunciare al blocco di Gaza o di consentire il libero transito di tutte le merci dirette verso la Striscia. Si è limitato a pretendere «scuse formali»: un gesto umiliante, forse, ma che permetterebbe al governo Netanyahu di continuare a fare, sia pure con maggiore garbo e qualche concessione, ciò che ha fatto sinora. Israele mantiene una posizione di formale intransigenza. Ma qualche giorno prima delle dichiarazioni di Davutoglu aveva inviato il suo ministro Benjamin Ben Eliezer a Zurigo per un incontro con il ministro degli Esteri turco. E quell’incontro aveva suscitato l’ira del ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman, esponente della fazione più dura e intransigente del governo israeliano. Lieberman sentì odore di compromesso e si arrabbiò per non essere stato informato.
La verità è che ciascuno dei due paesi ha esigenze politiche che non coincidono con i suoi interessi economici. La Turchia vuole continuare a essere il maggiore patrono della causa palestinese in Medio Oriente e Israele non vuole rinunciare al diritto di trattare Gaza come una minaccia alla propria sicurezza. Ma i due paesi hanno eccellenti rapporti dal 1949 (un anno dopo la costituzione dello stato di Israele), un intercambio fiorente, una collaborazione militare da cui traggono entrambi grandi vantaggi.
Israele fornisce materiale bellico alla Turchia e addestra i suoi militari all’uso degli aerei senza pilota, molto utili per le operazioni contro la guerriglia curda al di là della frontiera irachena. La Turchia è un ottimo partner commerciale e ha permesso ai piloti israeliani, sino a qualche giorno fa, di usare il suo spazio aereo per i loro voli di addestramento: una concessione provvidenziale per un piccolo paese che è possibile sorvolare, da una frontiera all’altra, in meno di mezz’ora.
Siamo nella fase in cui i due paesi stanno negoziando per evitare che la cattiva politica scacci la buona economia. Se il negoziato si svolgesse altrove, direi che le possibilità di un accordo sono minime. Ma siamo in Medio Oriente, una regione in cui le politiche reali possono essere assai diverse da quelle proclamate e ostentate e dove la parola no può avere, secondo i casi, significati diversi. Vi fu persino un lungo periodo durante il quale Israele ebbe buone relazioni d’affari con un governo iraniano (quello degli ayatollah) che denunciava pubblicamente lo stato sionista. Qualcosa del genere potrebbe accadere anche con la Turchia.