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 2010  luglio 12 Lunedì calendario

LA SOFFITTA DEL PRETE

Benedetto, il timido e bravo ragazzo, s´era in qualche modo innamorato di Elisa. Michele il duro, quello che sa sempre che cosa bisogna fare, ha deciso di metterle le mani addosso. E alla fine - questa è la ricostruzione dell´accusa - Danilo è scappato, insieme con le sue voci, lasciandosi dietro la ragazza uccisa: Elisa, sedicenne, dal sorriso dolce e dal seno prosperoso. Con il reggiseno tagliato, i pantaloni abbassati. Colpita tredici volte. Nascosta poi sotto un cumulo di tegole.
Era il 12 settembre 1993 e lassù, in cima alla chiesa parrocchiale, Elisa è rimasta a decomporsi e mummificarsi per diciassette anni, mentre Danilo se ne andava, portandosi in giro per l´Italia, e sino in Inghilterra, i suoi compagni immaginari, il bravo Benedetto e il drammatico Michele.

«In quei giorni era venuto a lavorare nel cantiere, dormiva nella baracca, la notte gridava, aveva gli incubi», ha raccontato un muratore, documentando quanto stesse male Danilo Restivo alla sua prima trasferta, lontano da Potenza.
Non si può mai essere colpevolisti con chi non s´è spiegato, ma si conosce parecchio del suo vizio violento, tagliare con le forbici i capelli delle ragazze, conosciute o sconosciute. E si sa che anche al cadavere della povera Elisa è stata recisa una ciocca.
Una ciocca era anche sul cadavere di Heather Barnett, sarta, mamma, vicina di casa di Restivo a Bournemouth, nel Dorset, Inghilterra, ammazzata nel 2002. Ciocche sono state tagliate in varie città, a varie ragazze. E anche alle scuole medie Danilo aveva combinato un brutto guaio.
Aveva convinto una coppia di quattordicenni, un ragazzo e una ragazza, a seguirlo sino ad entrare in un container isolato. Chiacchiera dopo chiacchiera, era riuscito a bendarli tutt´e due. E mentre erano là, uno accanto all´altra, lui (forse nei panni del truce Michele) con un coltellino aveva ferito al collo il maschio. E poi, spaventato (tornato Benedetto), s´era prodigato per curarlo.
A "raccontare" questo psico-vocìo interiore che ha messo in allarme molte polizie sono anche le lettere di Danilo, trovate dalla questura di Potenza, che ha riaperto il caso. Qualche volta, alle ragazze, Danilo, figlio del benestante direttore della biblioteca nazionale del capoluogo lucano, scriveva: «Io sono Benedetto, e sono malato, ma accanto a me c´è Michele, che è forte e mi protegge». Alcune ragazze, che all´epoca dell´omicidio di Elisa avevano conosciuto Restivo, sono state convocate.
Hanno parlato anche loro della chiesa della Santissima Trinità. Una ha raccontato di un Danilo che voleva portarla sul tetto, ma lei gli ha girato le spalle, preoccupata. Un´altra rivela che per un po´ aveva acconsentito a salire, aveva fatto un piano di scale, ma se l´era squagliata non appena comprese meglio le intenzioni dell´«amico». Elisa, che è arrivata sino al sottotetto della morte, non c´è più: la sua versione non esiste. Ci sono i suoi resti. Parlano di un´arma puntata addosso. Analisi a ripetizione su quella che è una scena del crimine - ci si arriva scavalcando un muretto, entrando nel buio più pesto - impongono di cercare, seimila giorni e passa dopo l´omicidio, impronte digitali. Pezzi di stoffa. Impronte di scarpe dove camminò l´assassino.
Interi pezzi di pavimento sono stati trasportati in laboratorio a Bari. I portoni sacri sono sigillati per ordine della Procura di Salerno: venerdì e sabato scorsi c´è stato un estenuante andirivieni di tecnici universitari e poliziotti della Scientifica. Non mancano tracce di liquido seminale: ci sono sul tetto due Dna maschili, non pochi andavano lassù per amori frettolosi, tra adolescenti, o chissà. Un altro indizio è un bottone rosso porpora. Forse non determinante, forse superfluo. però quel bottone - trovato poco lontano dalle tegole che custodivano Elisa mummificata - a diventare un piccolo (e preciso) simbolo della tragedia. Non appartiene a nessun abito talare di nessuno dei sacerdoti e monsignori che stavano e stanno in quella chiesa, ma c´è un ma: per ora non si esclude che appartenga a "qualche" uomo di chiesa. E che cosa c´era andato a fare lassù?
Gli inquirenti di Potenza negli anni Novanta hanno lasciato a Restivo tutte le possibilità di mentire e di depistare. stato condannato per falsa testimonianza: aveva mandato una mail fasulla firmata Elisa alla famiglia, in cui assicurava di stare bene, e di vivere in Brasile. Scotland Yard è invece riuscita a far emergere il lato oscuro di quest´uomo - ha ormai 38 anni - indecifrabile.
Secondo attendibili indiscrezioni, oltre Manica è scattata una classica "trappola al miele". Una simpatica ragazza ha incontrato "per caso" il tenebroso e solitario italiano: gli ha fatto credere di essere disponibile, molto disponibile a vederlo ancora. Lui per un po´ ha fatto il Benedetto, non sapeva destreggiarsi. Poi ha fissato un appuntamento. In auto chi c´era? Forse Michele? Quella sera i detective hanno visto un uomo risoluto caricare in auto un inquietante doppione dei suoi abiti. Una camicia dello stesso colore di quella indossata. Pantaloni: simili. Scarpe: uguali. A quel punto, noi che cosa avremmo fatto? A cosa servono "due di tutto"? A cambiarsi, se ci si sporca? E di che cosa ci si sporca? Forse di sangue? Scotland Yard non ha consentito rischi eccessivi alla collega carina che s´era finta interessata allo straniero: hanno acchiappato Restivo, se lo sono portati in cella, se lo tengono, visto che è sospettato di essere un serial killer: uno che ha finito a casa loro una parabola criminale, cominciata da studente, a Potenza.
Potentia. Così battezzarono questa città i romani, che arrivati quassù, dove si vedeva il mare, si vantarono: «Siamo davvero una potenza». Nel passare dei secoli, gli antichi centurioni sono stati soppiantati dai contemporanei maneggioni: questa è diventata una città di provincia falcidiata dalle inchieste, sempre più debole, asfittica, dove o si grida o si sussurra, ma non ci si oppone al concime del potere. Una x a pennarello ha cancellato sul cartello turistico la parola "santissima" davanti a Trinità.
Questa chiesa mette paura. O, se non paura, sconcerto. Annunciato dai fiori colorati, che invadono la sottostante via Pretoria, dai cartelli e dai peluche, è tornato il fantasma, ormai implacabile, di Elisa Claps, l´agnello in cerca di giustizia terrena, e anche televisiva: quando va in onda "Chi l´ha visto" (Rai 3) in giro non c´è un´anima. Non era scomparsa, Elisa: è stata una vittima «mai cercata». Non come si deve.
Le calunnie davanti ai caffè bombardano protagonisti e comparse della vita pubblica. Dall´allora sostituto procuratore Felicia Genovese, titolare delle indagini, al senatore a vita Emilio Colombo, l´antico e potente democristiano, che pilotò a Scanzano Jonico le barre d´uranio radioattivo degli americani e che in questa parrocchia, davanti al suo amico e confessore don Mimì, monsignor Domenico Sabìa, s´inginocchiava: come tanti altri, politici e imprenditori.
Sabìa, morto da due anni, era il monarca assoluto della chiesa dove va (anzi, andava) a messa chi conta. Don Mimì e le sue prediche moraliste rappresentano per la città dei sussurri un insondabile mistero: soprattutto se si torna e si ritorna, ma con il senno di poi, alla domenica dell´omicidio.
La ragazza è "sparita", Danilo si fa medicare poco prima delle 13,30 per un taglietto alla mano all´ospedale di Potenza, poi va a casa. Qua arrivano varie telefonate. I genitori si preoccupano molto, si portano il figlio in camera matrimoniale, lontano dagli ospiti: lo mandano velocemente a Napoli, deve fare un concorso. I familiari di Elisa cercano disperandosi la ragazza, che è sempre stata puntuale. Vanno anche in chiesa. Ma monsignor Sabìa parte per Fiuggi, se ne sta alcuni giorni a «passare le acque», come aveva programmato. Chiude la Trinità. Torna: alla disperata madre di Elisa Claps, che affigge manifesti, che chiede un aiuto, oppone una maschera di gelo. Né le darà mai il "conforto delle campane", che altre chiese, e il Duomo, suonano a distesa, «per non dimenticare Elisa».
Della "sua" chiesa-vip don Mimì è geloso. Non fa entrare nessuno, caccia geometri e curiosi. Non impedisce però alla metà degli anni Novanta alcuni lavori sul tetto. Avvengono a poca distanza dalla tomba segreta di Elisa. Nessuno degli operai nota niente, così come nulla noteranno, nel trascorrere perenne delle stagioni (e delle passioni), i frequentatori della parrocchia, quelli che sul tetto ci vanno per «commettere atti impuri», sesso rubato.
«Non riesco a immaginare che don Mimì sapesse qualche cosa. Per me uno non può dire messa se sa che sul tetto c´è il corpo di una ragazza ammazzata», puntualizza, a onor del vero, don Marcello Cozzi, bella faccia, prete dell´associazione antimafia Libera, che ha una parte del merito nel sostegno alle indagini. E anche alla squadra Mobile il parere è analogo: «Ma se don Mimì avesse saputo, se avesse avuto qualche cosa a che fare, si tiene il corpo lassù? Ma no, avrebbe avuto anni e anni di tempo per far sparire ogni traccia. E non l´avrebbe fatto, per non mettere un giorno la sua chiesa in questa posizione francamente orribile?».
La logica non fa una grinza. Non pochi in città hanno criticato il questore Romolo Panìco, poliziotto di vasta esperienza, che ha parlato di «innocenti depistaggi». Hanno sottolineato l´antitesi tra i due vocaboli, tra i due concetti. Viceversa, il binomio sembra calzare: in una città dove il crimine è minimo, ma dove le ramificazioni e le relazioni sono fortissime, che cos´è successo?
Ecco, se si rileggono gli atti delle indagini, compare un ragazzino, un vicino di casa, che crede di aver visto Elisa. C´è anche un ex fidanzatino che era stato militare. C´è una domenica d´estate, poi inizierà la scuola, chissà. Ecco, c´è questa chiesa, dove qualche cosa è successo. Ma che cosa?
Chiacchiere, voci, contraddizioni. E senza certezze, il magistrato Felicia Genovese, figlia di una ricca famiglia potentina, non ha osato fare quello che doveva: disturbare don Mimì, fare l´affronto di una "perquisa" totale nella casa del Signore. Non ha nemmeno chiesto una perizia psichiatrica su uno come Restivo.
Per anni e anni, si è distribuita la Comunione con un cadavere che si disfaceva sul tetto. E sta in questa decomposizione l´ultimo particolare che allarma gli investigatori (attuali). Elisa era sotto le tegole, sotto vario materiale. E sopra quel tumulo, qualcuno - non ci sono dubbi - ha tolto dalla sommità del tetto le doghe di legno. Ha lasciato le pietre vive. Ha, cioè, consentito una "traspirazione" maggiore: ha fatto uscire prima e meglio i miasmi della morte. Un caso? Un´idea dettata da qualcuno che capisce di cadaveri? E se sia stato Restivo, o un suo complice, per ora nessuno può saperlo.
I tempi delle importanti perizie, attesi per dopodomani, slitteranno. Nessuno sapeva più niente di Elisa finché - forse a gennaio, forse a marzo, inutile incaponirsi oggi, diamo al momento per buone data e ora ufficiale dell´allarme - il 17 marzo, di pomeriggio, quel corpo emerge. Il fratello Gildo può gridare di aver avuto ragione: e trova la forza della lotta, sostiene, «nella memoria di mia sorella». Vuole sapere com´è andata lassù, accanto alla Croce, bestemmiata dalle troppe verità nascoste. Adesso non è più solo, nella città dei bisbigli, a far sentire chiara e forte una voce che chiede di uscire dalle tenebre.