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 2010  luglio 11 Domenica calendario

LA LEGGENDA DEL GOLPE CHE NON CI FU

La caduta del governo Prodi nel 1998 ha rappresentato un vero e proprio punto di svolta nelle fortune del centro-sinistra che solo pochi mesi prima, con l’ingresso dell’Italia nell’euro, aveva toccato l’apice del proprio consenso. La vicenda è ancora avvolta da un seguito di risentimenti e sospetti che hanno fatto velo ad una esatta comprensione della dinamica di quella crisi, al punto che il Presidente Ciampi ha recentemente affermato nel suo Da Livorno al Quirinale e dalle colonne del Corriere della Sera: «Mi fu chiesto di guidare il governo e quell’incarico invece sfumò nell’arco di pochissime ore senza che sapessi perché. Un mistero che né D’Alema né Prodi, mi hanno mai spiegato (...). Probabilmente concorsero tanti fattori. Di sicuro un ruolo pesante lo ebbe l’ex Capo dello Stato Cossiga (...), anche Prodi ebbe un ruolo poco trasparente». A questa chiamata in causa ha replicato Prodi: «E’ documentato che non volli accettare il sostegno di esponenti di forze alternative allo schieramento che aveva sostenuto il governo dell’Ulivo (...) per non venire meno alla mia linea politica. Una volta preso atto del voto di sfiducia sono uscito subito di scena(...), in quei giorni ”delicatissimi” non ho avuto né avrei potuto avere un ruolo poco trasparente. Semplicemente non ho avuto alcun ruolo».
Proprio perché la vicenda ha rappresentato un trauma dal quale ha preso avvio il progressivo declino del centrosinistra e quel decennio di sostanziale egemonia del centro-destra che solo ora sembra conoscere a sua volta profonde lacerazioni, ad essa ho dedicato in un volume in corso di stesura una ricostruzione condotta sulla base di interviste con tutti i suoi maggiori protagonisti da Scalfaro a D’Alema, da Prodi a Ciampi e Cossiga, e molti comprimari. Ebbene, gli avvenimenti furono molto diversi dalla ricostruzione della vulgata dominante. Paradossalmente, proprio il successo rappresentato dall’ingresso nell’euro aveva rimosso il collante dell’eterogenea coalizione prodiana, preparando così la sua fine. Le tensioni nella coalizione si erano infatti verificate fin dall’approvazione nella tarda primavera del Dpef con il concorso dell’Udr di Cossiga. Quando in occasione della Finanziaria tutti i nodi di una coalizione disomogenea vennero al pettine, Prodi era cosciente che il governo, perdendo l’appoggio di Rifondazione Comunista e rifiutando l’appoggio esterno dell’Udr, non avrebbe superato il voto di fiducia, ed in ogni caso non avrebbe avuto una stabile maggioranza di governo. Fin dall’inizio della crisi Prodi, convinto che il vero interesse dell’Ulivo consistesse nello scioglimento delle Camere ed in nuove elezioni che gli consentissero di governare senza Rifondazione, scommise sull’impossibilità che si formasse una maggioranza alternativa. Il suo iniziale rifiuto a tentare un bis con una maggioranza aperta a nuovi apporti fu perciò coerente.
Diversa era la posizione del Capo dello Stato: Scalfaro aveva indicato a Prodi che «non avrebbe potuto concedergli quelle elezioni anticipate che aveva negato a Berlusconi nel 1994» perché «suo compito era verificare preventivamente se esistesse in Parlamento una maggioranza alternativa» che potesse dare esecuzione all’ingresso dell’Italia nell’euro e affrontare la crisi del Kosovo per la quale la Nato aveva avviato la mobilitazione. Naturale dunque che D’Alema, d’accordo con Scalfaro, pensasse a Ciampi per l’incarico di governo. E altrettanto naturale che, ritenendo che solo Ciampi potesse formare con successo un governo, Prodi si muovesse per contrastarlo creando così le condizioni per elezioni anticipate. In questa luce, la sua richiesta di reincarico, e contemporanea riaffermazione che non avrebbe mai accettato il sostegno di una maggioranza diversa, non hanno nulla di sorprendente.
Quanto però Prodi non aveva previsto era l’azione di Cossiga: l’ex Capo dello Stato si era opposto all’indicazione di Ciampi più che per ragioni legate alla persona per l’esigenza di assicurare la futura presenza al Quirinale di un cattolico. Alla prassi della prima Repubblica di un’alternanza alla Presidenza di laici e cattolici, il maggioritario della seconda Repubblica imponeva ormai di sostituire un equilibrio tra Quirinale e Palazzo Chigi. Un premier tecnico come Ciampi non avrebbe garantito la successione al Quirinale di un cattolico, resa invece più facile da un governo guidato da un post-comunista. Si aggiunga il desiderio di accrescere l’influenza del centro. Al di là di considerazioni personali, anche l’azione di Cossiga rispondeva ad una precisa logica politica.
La crisi si risolverà con l’incarico a D’Alema approvato da tutte le forze dell’Ulivo, e con l’ingresso nella maggioranza dell’UdR. Nessuna congiura di palazzo dunque, ma il naturale evolversi di una crisi determinata dalla disomogeneità della coalizione prodiana - come dimostrerà anche l’esperienza del secondo governo Prodi - e dominata dall’esigenza, correttamente sentita da Scalfaro, di assicurare continuità di governo e di legislatura in presenza di una grave crisi internazionale e dalla necessità di rassicurare l’Europa sulla concreta attuazione del nostro ingresso nell’euro. Se gli avvenimenti dell’ottobre 1998 sono stati all’origine dei traumi che hanno così tanto indebolito il centrosinistra, ciò è dovuto non tanto alla sostanza dei fatti ma piuttosto all’interpretazione che ne hanno dato molti dei loro stessi protagonisti.
Nel libro «Da Livorno al Quirinale - Storia di un italiano. Conversazioni con Arrigo Levi» pubblicato dal Mulino, Carlo Azeglio Ciampi ripercorre le tante tappe della sua vita. Vicino ormai a novant’anni, l’ex Presidente si toglie anche qualche sassolino dalla scarpa, raccontando per esempio un retroscena della crisi di governo del ”98. Ricorda che D’Alema, dopo la caduta di Prodi, gli chiese - anche a nome di Veltroni - di accettare la nomina a premier. Vista l’insistenza, lui alla fine accettò. Ma subito dopo calò il silenzio e dopo qualche giorno fu lo stesso D’Alema ad essere nominato presidente del Consiglio.