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 2010  luglio 13 Martedì calendario

POLANSKI LIBERO, MA LA GIUSTIZIA UN’ALTRA COSA

Roman Polanski di anni set­tantasei, ritorna libero, può lascia­re il suo chalet di Gstaad, dove ha trascorso, faticosamente viven­do, il periodo degli arresti domici­liari. La Svizzera li ha revocati e ha respinto la domanda di estradizio­ne pr­esentata dalla giustizia statu­nitense. Il regista, dunque, non sa­rà sottoposto a processo. Può cir­colare per le strade di Berna, con­cedersi gite in barca sul lago di Gi­nevra, trasferirsi nella dolce Pari­gi. Il passato, suo, non conta, è un film senza storia, con poca crona­ca. Polanski, per gli smemorati, era stato fermato al suo arrivo a Zu­rigo nel settembre del duemila e nove sulla base di un mandato di cattura spiccato negli Stati Uniti con l’accusa di aver avuto atti ses­suali con una minorenne di tredi­ci anni nel 1977. Samantha Geiger è il nome della ragazza, oggi qua­rantenne e madre di figli tre, era stata attirata in un festino a casa di Jack Nicholson, Polanski le aveva promesso una carriera di model­la, poi l’aveva stordita con la dro­ga e stuprata più volte. La Geiger, trent’anni dopo, avrebbe perdo­nato lo stupratore ma la giustizia americana ha voluto ugualmente portare a termine la sentenza. Po­lanski aveva ammesso le proprie colpe, condannato a novanta gior­ni da t­rascorrere in una clinica psi­chiatrica, aveva scelto, dopo un periodo di quasi due mesi, la fuga all’estero, dicesi esilio, puntando verso la Francia, sua seconda cul­la esistenziale, paese abituato a raccogliere filosofi, romei, anime perse, terroristi, artisti bohemien e poeti maledetti. Banlieu e mi­lieu si erano finalmente trovati d’accordo per sottoscrivere un specie di lodo Polanski, una sorta di purificazione e di beatificazio­n­e del maestro dell’arte cinemato­grafica, del regista de Il Pianista, di Chinatown, di un uomo che al­l’età di quarantatrè anni, nel pie­no possesso delle proprie facoltà mentali, fisiche e, ça va sans dire, culturali, aveva sodomizzato e drogato una bella ragazzina, illu­dendola, come sanno fare i profes­sionisti del genere, facendole so­gnare una carriera più luminosa e affascinante di quella stanza dove era avvenuto il fatto, «un inciden­te isolato» secondo una corrente di pensiero dei cosiddetti intellet­tuali francesi oppure «un affare di costume vecchio di trent’anni»se­co­ndo la teoria fresca e democrati­ca del quotidiano francese Libera­tion .
Perché la giustizia non può essere uguale per tutti, se trattasi di artista (o di religioso, secondo le ultime notizie di cronaca) allo­ra il codice va letto in modo più ela­stico e moderno. Samantha Gei­ger, lei invece, è stata liquidata in due righe, si è pentita, ha mentito sull’età, anzi avrebbe percepito fior di dollari, su sollecitazione di sua madre, dunque una escort e la sua pappona, approfittando del grande circo mediatico costruito attorno alla vicenda e che avrebbe indebolito e inchiodato il regista. Di colpo la certezza della pena è diventata un asterisco fastidioso, una nota a margine da eliminare; di colpo lo stupro di una minoren­ne è passato in secondo piano ri­spetto allo spessore internaziona­le dell’artista, al significato della sua opera, al messaggio etico che lo stesso ha inviato al popolo inte­ro. La violenza su una donna, a vol­te, può avere le sue giustificazioni, se la minorenne fa la furba, anzi, va svergognata lei e assolto lo stu­pratore ingenuo, soprattutto se co­stui appartiene a una certa casta privilegiata. Si sono mosse le co­scienze libere, il corteo degli uomi­ni e delle donne di intelletto, quel­li che vengono definiti intellettua­li (gli altri ne sono, ne siamo, sprovvisti) ieri hanno stappato champagne, trattandosi di un cit­tadino francese, di origine polac­ca, perseguitato da un’esistenza maledetta, il campo di concentra­mento, la morte atroce della ma­dre, l’omicidio satanista della mo­glie Sharon Tate ammazzata con altri quattro ospiti in casa, insom­ma una vittima del male ma, al tempo stesso, un martire citoyen per cui gli allonsenfants sono sce­si in piazza per difenderlo e libe­rarlo dall’ingiustizia americana. Il ministro della Cultura francese Frederic Mitterrand è soddisfatto perché Polanski può finalmente ri­trovare la comunità di artisti che lo hanno sostenuto con calore e ri­spetto (anche il titolare della villa di Los Angeles?); il filosofo Ber­nard- Henry Levy addirittura è pazzo di gioia perché, dice, «giusti­zia è fatta». Non so a quale giusti­zia faccia riferimento l’illustre pensatore, quella americana ha idee e sentenze diverse da quella svizzera.
Ma quello che pensano nei tri­bunali americani è roba da fiction televisiva, non conta. Polanski può essere di nuovo invitato alle feste nelle ville dei vip, è libero di vivere. Sulla sua pellicola resterà quella macchiolina del Settanta­sette, roba piccola per un grande maestro del cinema costretto in uno chalet svizzero a osservare il mondo cattivo agitarsi attorno a lui, un uomo che prova vergogna. Per quei giorni passati in galera e non per lo stupro di una donna. Un pessimo attore per il peggiore film della sua vita.