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 2010  luglio 10 Sabato calendario

SCRIVE MARCHIONNE

Scrivere una lette­ra è una di quelle cose che si fa rara­mente e solo con le persone alle quali si tiene vera­mente. Se ho deciso di farlo è perché la cosa che mi sta più a cuore in questo momento è potervi parlare apertamente, per condividere con voi alcuni pensie­ri e per fare chiarezza sulle tante voci che in questi ultimi mesi hanno visto voi e la Fiat al centro dell’atten­zione. Non è la Fiat a scrivere questa lettera, non è quell’entità astratta che chiamiamo «azienda» e non è, come di­rebbe qualcuno, il «padrone».
Vi sto scrivendo prima di tutto co­me persona, con quel bagaglio di esperienze che la vita mi ha porta­to a fare.
Sono nato in Italia ma, per ragio­ni familiari e per motivi di lavoro, ho vissuto all’esterola maggior par­te dei miei anni e conosco bene la realtà che sta al di fuori del nostro Paese. Ed è questa conoscenza che sto cercando di mettere a disposi­zione della Fiat perché non resti isolata da quello che succede intor­no.
Vi scrivo da uomo che ha credu­to e crede ancora fortemente che abbiamo la possibilità di costruire insieme, in Italia, qualcosa di gran­de, di migliore e di duraturo.
Prendete questa lettera come il modo più diretto e più umano che conosco per dirvi come stanno re­almente le cose. Ci troviamo in una situazione molto delicata, in cui dobbiamo de­cidere il nostro futuro. Si tratta di un futuro che riguarda noi tutti, co­me lavoratori e come persone, e che riguarda il nostro Paese, per il ruolo che vuole occupare a livello internazionale.
Basta pensare a quanto è basso il livello degli investimenti stranieri in Italia, a quante imprese hanno chiuso negli ultimi anni e a quante altre hanno abbandonato il Paese per capire la gravità della situazio­ne.
Non nascondiamoci dietro il pa­ravento della crisi. La crisi ha reso più evidente e, purtroppo, per molte famiglie, an­che più drammatica la debolezza della struttura industriale italiana. La cosa peggiore di un sistema in­dustriale, quando non è in grado di competere, è che alla fine sono i la­voratori a pagarne direttamente – e senza colpa – le conseguenze.
Quello che noi abbiamo cercato di fare, e stiamo facendo, con il pro­getto «Fabbrica Italia» è invertire questa tendenza.
I contenuti del piano li conosce­te bene e prevedono di concentra­re nel Paese grandi investimenti, di aumentare il numero di veicoli prodotti in Italia e di far crescere le esportazioni.
Ma il vero obiettivo del progetto è colmare il divario competitivo che ci separa dagli altri Paesi e por­tare la Fiat a un livello di efficienza indispensabile per garantire all’It­a­lia una grande industria dell’auto e a tutti i nostri lavoratori un futuro più sicuro.
Non ci sono alternative.
La Fiat è una multinazionale che opera sui mercati di tutto il mon­do.
Se vogliamo che anche in Italia cresca, rafforzi le proprie radici e possa creare nuove opportunità di lavoro dobbiamo accettare la sfida e imparare a confrontarci con il re­sto del mondo.
Le regole della competizione in­ternazionale non le abbiamo scel­te noi e nessuno di noi ha la possibi­lità di cambiarle, anche se non ci piacciono.L’unica cosa che possia­mo scegliere è se stare dentro o fuo­ri dal gioco.
Non c’è nulla di eccezionale nel­le richieste che stanno alla base del­la realizzazione di «Fabbrica Ita­lia ».
Abbiamo solo la necessità di ga­rantire normali livelli di competiti­vità ai nostri stabilimenti, creare normali condizioni operative per aumentare il loro utilizzo, avere la certezza di rispondere in tempi normali ai cambiamenti della do­manda di mercato. Non c’è niente di straordinario nel voler aggiornare il sistema di ge­stione, per adeguarlo a quello che succede a livello mondiale. Ecce­zionale semmai – per un’azienda – è la scelta di compiere questo sfor­zo in Italia, rinunciando ai vantag­gi sicuri che altri Paesi potrebbero offrire.
Anche la proposta studiata per Pomigliano non ha nulla di rivolu­zionario, se non l’idea di trasferire la produzione della futura Panda dalla Polonia in Italia.
L’accordo che abbiamo raggiun­to ha l’unico obiettivo di assicura­re alla fabbrica di funzionare al me­glio, eliminando una serie intermi­nabile di anomalie che per anni hanno impedito una regolare atti­vità lavorativa.
Proprio oggi (ieri, ndr) abbiamo annunciato che, insieme alle or­ganizzazioni sindacali che hanno condiviso con noi il progetto, met­teremo in pratica questo accor­do.
Insieme ci impegneremo perché si possa applicare pienamente, as­sicurando le migliori condizioni di governabilità dello stabilimento.
So che la maggior parte di voi ha compreso e ha apprezzato l’impe­gno che abbiamo deciso di prende­re.
Credo, inoltre, che questo non sia il momento delle polemiche e non voglio certo alimentarle.
Ma di fronte alle accuse che sono state mosse e che hanno messo in dubbio la natura e la serietà del pro­getto «Fabbrica Italia», sento il do­vere di difenderlo.
Non abbiamo intenzione di toc­care nessuno dei vostri diritti, non stiamo violando alcuna legge o, tantomeno, come ho sentito dire, addirittura la Costituzione Italia­na. Non mi sembra neppure vero di essere costretto a chiarire una cosa del genere. una delle più grandi assurdità che si possa soste­nere. Quello che stiamo facendo, semmai, è compiere ogni sforzo possibile per tutelare il lavoro, pro­prio quel lavoro su cui è fondata la Repubblica italiana.
L’altra cosa che mi ha lasciato in­credulo è la presunta contrapposi­zione tra azienda e lavoratori, tra «padroni» e operai, di cui ho senti­to parlare spesso in questi mesi.
Chiunque si sia mai trovato a ge­stire un’organizzazione sa bene che la forza di quell’organizzazio­ne non arriva da nessuna altra par­te se non dalle persone che ci lavo­rano.
Voi lo avete dimostrato nel mo­do più evidente, grazie al lavoro fat­to in tutti questi anni, trasforman­do la Fiat, che nel 2004 era sull’orlo del fallimento,in un’azienda che si è guadagnata il rispetto e la stima sui principali mercati internazio­nali. Quando, come adesso, si trat­ta di costruire insieme il futuro che vogliamo, non può esistere nessu­na logica di contrapposizione in­terna.
Questa è una sfida tra noi e il re­sto del mondo. Ed è una sfida che o si vince tutti insieme oppure tutti insieme si perde. Quello di cui ora c’è bisogno è un grande sforzo col­lettivo, una specie di patto sociale per condividere gli impegni, le re­sponsabilità e i sacrifici in vista di un obiettivo che vada al di là della piccola visione personale.
Questo è il momento di lasciare da parte gli interessi particolari e di guardare al bene comune, al Paese che vogliamo lasciare in eredità al­le prossime generazioni.
Questo è il momento di ritrovare una coesione sociale che ci permet­ta di dare spazio a chi ha il coraggio e la voglia di fare qualcosa di buo­no.
Sono convinto che anche voi, co­me me, vogliate per i nostri figli e per i nostri nipoti un futuro diverso e migliore. Oggi è una di quelle oc­casioni che capitano una volta nel­la vita e che ci offre la possibilità di realizzare questa visione.
Cerchiamo di non sprecarla.
Grazie per aver letto questa lun­ga riflessione e grazie a tutti quelli, tra voi, che vorranno mettere le lo­ro qualità e la loro passione per fa­re la differenza.
Buon lavoro a tutti.