DOMENICO QUIRICO, La Stampa 8/7/2010, pagina 13, 8 luglio 2010
INCHIESTA SULLA TANGENTE A SARKOZY
Adesso non è soltanto un succulento dossier giornalistico. E’ ufficialmente un fascicolo giudiziario: l’indagine preliminare sul reato di finanziamento occulto ai partiti. L’ha aperto la procura di Nanterre, che indagherà sulle dichiarazioni rese alla polizia, e al sito Mediapart, dalla loquace ex contabile dell’ereditiera L’Oréal, Liliane Bettencourt. Sono l’alfa e l’omega di uno scandalo di Stato: perché rivelano il passaggio, nel 2007, di 150 mila euro della miliardaria, attraverso il ministro Eric Woerth, per sostenere la campagna del candidato presidenziale della destra, Nicolas Sarkozy. Finanziamento illegale, visto che sorpassa le spartane cifre previste dalle norme, 7.500 euro. Woerth potrà essere interrogato come teste e messo a confronto con la sua accusatrice. «Bene, l’inchiesta servirà a fugare i calunniosi sospetti», hanno commentato, non si sa con quanto sollievo sincero, all’Eliseo.
Ormai la vicenda galoppa. Ci si scambia querele in tribunale e insulti nelle aule parlamentari: con la destra sarkosista che parla di complotto calunnioso di stile fascista e la sinistra che inneggia alla necessità di ripulire gli angolini del marcio di regime. Manca solo il delitto. Attenzione però: il giallo fa già capolino. La contabile ieri è scomparsa. La polizia voleva reinterrogarla, perché pare che con gli agenti della brigata di repressione dei reati economici sia stata più riservata che con i giornalisti di Mediapart. Resta il fatto che il nocciolo delle sue dichiarazioni all’arsenico, capaci, se veritiere, di mettere nei guai un presidente, sono state confermate ieri dalla stessa polizia: che ha trovato le tracce del prelievo di 50 mila euro fatto il 27 marzo 2007 dalla contabile nella filiale di Bnp Paribas di Avenue de la Grande Armée. Cinquantamila euro che Claire Thibout segnò sotto la semplice casuale «Bettencourt», come faceva ogni volta che i soldi erano destinati ai politici per cancellare le tracce. E che poi nel corso di una cena, sotto forma di anonimo pacchetto, sarebbero passati a Woerth, tesoriere della campagna presidenziale. Insieme ad altri centomila prelevati da un conto (clandestino) in Svizzera. I poliziotti hanno ritrovato anche l’esplosiva contabilità cui la donna rimandava per ottenere una scrupolosa radiografica postuma di quei traffici.
Ieri il fronte presidenziale ha cercato di dare un’immagine di compatta determinazione. Il primo ministro Fillon ha incontrato un centinaio di esterrefatti e allarmati deputati del suo gruppo e li ha confortati a non dubitare del Presidente: «E’ sempre lui il maestro del gioco, non dovete cedere all’agitazione, è lui che decide la data del rimpasto e in questo momento non è una priorità politica». Sarkozy ha parlato del caso in Consiglio dei ministri. Ha ordinato alla truppa di «mantenere il sangue freddo, lavorare e non tenere conto del clima politico». Non sembra una strategia efficace: finora le mosse del Presidente appaiono sbilenche, fuori tono. Subisce la situazione, inveisce con arroganza ma non riesce a ritrovare il filo dell’iniziativa.
Dietro il paravento di tranquilla fermezza, a Palazzo si nota un certo panico. Sarkozy si è legato a filo doppio con il destino del suo ministro: non poteva fare diversamente, dopo averlo legittimato dell’impegnativa qualifica di «galantuomo». A Sarkozy, cinico perfetto, interessa solo il suo destino personale, i collaboratori sono apprezzati solo fino a quando «rendono», lustrano il suo blasone e sanno stare al loro posto. Poi si gettano. Ma in questo caso la caduta di Woerth sarebbe l’implicito riconoscimento della fondatezza delle accuse. Giudiziariamente non ci sono rischi imminenti, il presidente ha l’immunità e il reato potrebbe anche essere prescritto, visto che sono passati tre anni. Ma politicamente sarebbe il disastro.
Com’è opaca, piena di sfumature ambigue, ma intrigante, questa «mani pulite» francese. L’uomo che dà la caccia a Woerth, a Sarkozy e ai pacchetti di banconote che nella maison dell’erede L’Oréal scivolavano, dopo la crème brûlée, nelle tasche ministeriali, si chiama Philippe Courroye ed è procuratore al tribunale di Nanterre. Magistrato solitario e ombroso, poco attirato dalle luci del palcoscenico, semmai un esperto marciatore dell’apparato giudiziario: così lo descrivono i colleghi che più lo hanno in simpatia. E non sono un esercito. Difficile prevedere che possa, con le sue cautele, folgorare, armato di codice penale, le scelleratezze dei grandi e dei grossi della V Repubblica.
Allora, quando si parla di dar la caccia, molti preferiscono usare per lui il condizionale: il giudice che dovrebbe dar la caccia a Woerth e Sarkozy. A dirla senza metafore: Courroye è considerato un magistrato di destra, simpatizzante del presidente ben oltre i limiti che imporrebbe il ruolo di inquisitore. Ahi! Il giudice di questa «mani pulite» ha la fama di sistematico affossatore delle inchieste scomode. Al Potere esecutivo.
La prima a pensarla così è una sua collega del tribunale di Nanterre, Isabelle Prévost-Desprez. La trovano estremista persino i suoi più affezionati sostenitori: integra ma eccessiva, dicono alzando gli occhi al cielo. Una volta lei e Courroye erano amici. Lavorano assieme alla sezione delle inchieste finanziarie, mettendo con determinazione e minuzia le mani dietro gli aggrovigliati fili dell’Angolagate, scandalo fatto di armi e tangenti. Poi hanno litigato e ora si detestano.
Li ha divisi la riforma della giustizia ordinata appunto da Sar-kozy, con l’eliminazione del giudice istruttore indipendente e il passaggio delle inchieste delicate tutto nelle mani della Procura; che è collegata all’esecutivo. La Prévost, capofila dei magistrati che la considerano un attentato alla divisione dei poteri e alla democrazia, ha condotto una battaglia campale. Courroye era sull’altra sponda. E così la collega che presiede la quindicesima camera penale, quando è scoppiato lo scandalo Bettencourt, ha cercato di irrompere nell’inchiesta, di imporvi il metodo spettacolare e sbrigativo. Unica ricetta contro un probabilissimo insabbiamento.
Ma è davvero così? Philippe Courroye rivendica con buon diritto le sue inchieste precedenti come prova della propria indipendenza. Nel caso Woerth finora non ha sbagliato una mossa: metodico, silenzioso, determinato come un cacciatore implacabile. In un rapporto alla procura generale di Versailles, che «Le Monde» si è procurato, il giudice annuncia nei confronti della coppia Woerth propositi investigativi e fattispecie di reato che difficilmente consentirebbero al ministro di sopravvivere politicamente. E se fosse proprio un giudice di destra deciso a cancellare la sua fama di insabbiatore a far tremare Sarkozy?